ultrasuono
ultrasuòno s. m. [comp. di ultra- e suono]. – Perturbazione ondosa longitudinale in un fluido, analoga a una perturbazione sonora, ma caratterizzata da frequenze al di là del limite superiore del campo delle frequenze udibili, che sono cioè comprese all’incirca tra 20 kHz e 1000 MHz (per frequenze ancora superiori si usa parlare di ipersuoni); anche, vibrazione elastica che può dar luogo all’anzidetta perturbazione ondosa e che può essere eventualmente di tipo trasversale, oltreché longitudinale. Esistono generatori di ultrasuoni, variamente denominati a seconda del principio di funzionamento (meccanici: a sirena o a fischio; elettromeccanici: ad altoparlante, magnetostrittivi, elettrostrittivi, piezoelettrici), e ricevitori di ultrasuoni, in genere microfoni elettromagnetici o piezoelettrici, sensibili alla pressione della perturbazione ultrasonora. Sono quindi possibili varie applicazioni tecniche degli ultrasuoni, basate: sulle modificazioni (dovute ad azioni meccaniche e termiche) da loro indotte nel mezzo in cui la vibrazione si propaga o su cui incide (saldatura, foratura e taglio di materiali, lavaggio spinto di superfici, precipitazione di particelle in sospensione, ecc.); sulle caratteristiche di propagazione (velocità, assorbimento, ecc.), che consentono di risalire a proprietà strutturali e molecolari del mezzo in cui la propagazione avviene (analisi a u. per prove non distruttive di materiali e pezzi lavorati); sulle modalità di propagazione, a fini di localizzazione (ecogoniometri, sonar, ecc.); su effetti biologici, a scopi diagnostici (ultrasonografia) e terapeutici (ultrasuonoterapia). In biologia cellulare gli ultrasuoni ad alta frequenza e intensità vengono usati per la frammentazione di cellule batteriche, vegetali e animali, al fine di ottenere omogenati completi o parziali; da questi ultimi possono essere separati mediante centrifugazione i diversi costituenti particellari (organelli), per es. nuclei, mitocondrî, ribosomi, ecc.