traslato
(ant. translato) agg. e s. m. [dal lat. translatus, part. pass. di transferre «trasferire, trasportare»]. – 1. letter. Trasferito, trasportato, con valore di participio (anche unito all’ausiliare per formare un tempo composto): vidimi translato Sol con mia donna in più alta salute (Dante); io credo (e ’l giurerei) che in quelle piante Abbia la reggia sua Pluton traslata (T. Tasso). Con riferimento ai resti mortali di persone, è adoperato a volte anche nell’uso non letter. (però sempre sostenuto): le salme dei caduti saranno traslate in patria; le reliquie del santo furono traslate nella cattedrale. 2. a. agg. Metaforico: la parola è usata qui in un senso traslato. b. Come s. m., metafora o, più genericam., figura retorica: in questa accezione, la parola è un t.; l’uso dei t.; per traslato, locuz. con cui s’introduce la definizione del sign. figurato, metaforico di una parola (per es.: «radice indica la parte da cui si sviluppa la pianta, e, per traslato, l’origine di qualche cosa»). I traslati più comuni, nella retorica moderna, sono la metafora in senso stretto, la metonimia e sineddoche, l’antonomasia, la perifrasi, la litote, l’ironia, l’iperbole, l’apostrofe, la preterizione, ecc. (v. le rispettive voci).