trangugiare
v. tr. [der. del gallico geusiae «gola»] (io trangùgio, ecc.). – Inghiottire, ingoiare, mangiare con avidità e rapidamente, per lo più senza neppure masticare (il cibo) o assaporare (la bevanda): ha (o si è) trangugiato un piatto enorme di pasta e fagioli; trangugiò d’un fiato il vino che gli piacque molto e gli fece gli occhi scintillanti (Jovine); raro al passivo: come un pesciolino che sia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische (Leopardi); anche, talora, inghiottire con difficoltà, o a malincuore: t. la saliva; provò a t. qualche boccone, ma la gola gli si chiudeva e gli occhi gli s’empievano di lacrime (G. Cena); aveva versato la medicina dalla bottiglia nel bicchiere trangugiandola poi con supremo disgusto (Deledda). In usi fig., mandare giù a forza, dover subire o reprimere: t. bocconi amari; Fu per gridar ...: Ma forza è che la bocca al fin si turi E che l’ira trangugi amara et acra (Ariosto); dopo aver trangugiato molto fiele in silenzio, ... disse con un tono di voce in cui si sentiva lo sforzo di dominarsi (De Marchi).