tramoggia
tramòggia s. f. [lat. trimŏdia «recipiente che contiene tre moggi», comp. di tri- «tre» e mŏdius «moggio»] (pl. -ge, raro -gie). – 1. a. Apparecchio utilizzato per facilitare lo scarico, per gravità, di materiali sciolti, in polvere o in piccole pezzature, costituito nella forma più semplice da un recipiente a forma di tronco di piramide o di cono, con base minore in basso munita di un’apertura (bocca) chiusa da un portellino: trova applicazione in alcune macchine operatrici quali trafile e presse, nei gasogeni, nei silos per minerali e cereali, ecc. Con uso attributivo, nell’espressione carro tramoggia, carro attrezzato per lo scarico diretto del materiale caricato. b. La cassetta in cui, nell’Accademia della Crusca, venivano messi i componimenti letterarî da esaminare. c. Nelle navi, stiva speciale (stiva a tramoggia) munita nel fondo di grandi aperture, chiudibili, destinata a contenere e poi a scaricare in mare materiali varî (pietrame di scavo, nei lavori di dragaggio; rifiuti luridi, ecc.). Barca tramoggia (anche barca-t., barca a t.), galleggiante munito di stive a tramoggia, usato nei porti e nei lavori di scavo. T. lanciatorpedini, specie di gabbia a binarî inclinati disposta all’estremità poppiera delle navi posamine o del naviglio leggero per far scivolare in mare a comando torpedini e bombe di profondità antisommergibili. 2. Per similitudine di forma, finestra a tramoggia, finestra, detta anche bocca di lupo, munita di riparo, generalmente di legno, che permette la sola vista verso l’alto, usata nelle carceri e nei conventi di clausura. 3. In cristallografia, cristallo che, per squilibrio di accrescimento, presenta facce incavate a forma di piramide con scalettature degradanti verso l’interno del cristallo stesso.