timore
timóre s. m. [dal lat. timor -oris, der. di timere «temere»]. – 1. La condizione, lo stato d’animo di chi teme, di chi pensa possa verificarsi un evento dannoso, doloroso o comunque spiacevole, al quale vorrebbe sottrarsi (il contrario di speranza): con l’animo diviso tra la speranza e il t.; sono in t., in gran t. per lui, per la sua vita, per la sua salute; t. della morte, di contrarre malattie; è ben preparato e potrà presentarsi all’esame senza troppo t.; si riguarda molto per t. d’una ricaduta; non c’è t. che la cosa possa ripetersi; Timor d’infamia e Desio sol d’onore (Petrarca); con riferimento a particolari cause di timore, anche al plur.: tu conosci i miei timori; sono t. giustificati, oppure infondati, eccessivi. Nell’uso com., con valore iperb., riferito a cosa che si vorrebbe soltanto evitare per discrezione o altro: camminava in punta di piedi per t. di svegliarlo; tralascio il resto della storia per t. di annoiarvi. 2. a. Rispetto profondo, accompagnato da un senso di soggezione: avere, provare, sentire timore di qualcuno; è un uomo alto, dal viso severo e dallo sguardo penetrante, che incute t. solo con l’aspetto; è uno sfrontato che non ha t. di nessuno; t. reverenziale, soprattutto verso chi ha una posizione superiore o un’autorità che comporta un senso di riverenza e soggezione: ha un t. reverenziale del padre, del direttore. b. T. di Dio, nella teologia cattolica, uno dei doni dello Spirito Santo, per cui vengono infusi negli uomini riverenza e pietà filiale verso Dio. Nell’uso corrente, scrupoloso sentimento di soggezione a Dio e di rispetto dei suoi comandamenti e dei precetti della Chiesa: avere, dimostrare t. di Dio; dove manca il t. di Dio, conviene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal t. d’uno principe che sopperisca a’ difetti della religione (Machiavelli); c’è bene a questo mondo de’ birboni, de’ prepotenti, degli uomini senza timor di Dio (Manzoni).