tardi
avv. [lat. tarde, avv. di tardus «lento»]. – 1. Non presto, con riferimento a fatti che avvengono dopo uno spazio di tempo piuttosto lungo, entro un termine lontano nel tempo: abbiamo sempre l’abitudine di fare un po’ t. la sera; sono andato a letto t., stanotte; si alza t. la mattina; ci vedremo oggi sul t., nelle ore avanzate del pomeriggio, verso sera (meno comunem. nelle ore avanzate del mattino); chiacchierando, ci si è fatto t.; prov., meglio tardi che mai. Frequente il superl. tardissimo, molto tardi: è rientrato a casa tardissimo; e il compar. più tardi, qualche tempo dopo: ci vedremo più tardi; a più tardi, per rinviare qualche cosa a un nuovo, prossimo incontro (o semplicem. come saluto di breve commiato); al più tardi, per indicare un limite: il vestito sarà pronto al più t. tra una settimana. In contrapp. a presto, con sign. che si avvicina talvolta a quello etimologico di «lentamente»: presto o tardi ci riuscirà; nel quale unimento [d’amore] ... l’anima corre tosto o tardi, secondo che è libera o impedita (Dante). 2. Per indicare che l’azione espressa dal verbo si è compiuta, si compie o si compirà, dopo il termine normale, stabilito o conveniente, dopo un termine che si desume comunque dal contesto: arrivare (o anche fare) tardi a scuola, alla stazione, per la cena; ha fatto t. e ha perso il treno; sarà ora che ti muova, altrimenti farai t.; chi t. arriva male alloggia, prov.; ha cominciato t. a studiare, troppo t. Comuni le espressioni è tardi, per indicare che è passato il momento opportuno di fare qualche cosa: è t. ormai per decidere, per iscriversi; dovevi pensarci prima, ora è tardi; e parere o sembrare (e nell’uso letter. anche essere) tardi, con riferimento a cosa desiderata ardentemente, aspettata con ansia: lo vedrò domani, e mi par tardi; Tanto m’aggrada il tuo comandamento, Che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi (Dante). ◆ Dim. tardino, tardùccio, piuttosto tardi: su, torniamo a casa, è già tardino.