tabu
tabù (anche, ma solo nel sign. proprio e nell’uso scient., tabu) s. m. e agg. [dal fr. tabou, ingl. taboo, adattam. di voce polinesiana]. – 1. s. m. a. In etnologia e in storia delle religioni, interdizione o divieto sacrale di avere contatto con determinate persone, di frequentare certi luoghi, di cibarsi di alcuni alimenti, di pronunciare determinate parole, e sim., imposti per motivi di rispetto, per ragioni rituali, igieniche, di decenza o per altri motivi (per es., il divieto di adoperare oggetti di ferro in alcuni riti di Roma antica, di mangiare carne di maiale per i popoli semiti e islamici, di avere rapporti con la suocera o con vedove o di pronunciare il nome di animali sacri o impuri presso varî popoli): tabù, o tabu, rituali, sociali, comportamentali, alimentari, sessuali, ecc.; osservare, rispettare, trasgredire un tabù o tabu. In psicanalisi, il termine indica ogni atto proibito, oggetto intoccabile, pensiero non ammissibile alla coscienza, come nel caso emblematico dell’incesto. b. In partic., t. verbale o lessicale, la tendenza a evitare certe parole o locuzioni per motivi di decenza, di rispetto religioso o morale, di convenienza sociale: certe parti del corpo e funzioni fisiologiche, per tabù, vengono nominate con eufemismi; l’esclamazione «Cribbio!» per «Cristo!» è dovuta a un tabù religioso; il termine «spazzino» è diventato un tabù sociale: oggi si deve dire «operatore ecologico». c. In usi fig. e per lo più scherz., cosa, azione, argomento che non si deve e non si può toccare, fare, trattare: quella ragazza per me è un tabù; la sessualità, in molte famiglie, è ancora un tabù. 2. agg. Che costituisce un tabù: oggetti, animali, atti tabù o tabu, in etnologia e in storia delle religioni; parole, locuzioni tabù, in linguistica; e in usi fig. e scherz.: quella donna è tabù: ha un marito geloso e violento; parlare di sesso, in quella casa è tabù.