strame
s. m. [lat. stramen, affine a sterněre «distendere» (part. pass. stratus)]. – 1. Nome generico delle erbe secche, fieno, paglia, ecc., che, mescolate insieme, servono come foraggio e come lettiera per il bestiame: fare raccolta di strame nei campi; fornire le stalle di strame per i bovini; alloggiano i nimici al coperto, provisti di vettovaglie e di strami (Guicciardini). Con riferimento all’uso come foraggio, in senso fig.: Faccian le bestie fiesolane strame Di lor medesme (Dante), i Fiorentini (qui chiamati Fiesolani in quanto discendenti da Fiesole) si abbattano tra loro, si danneggino l’un l’altro; far s. di qualcuno, distruggerlo, annientarlo con critiche, accuse inoppugnabili. 2. estens. Strame di valle, nome dato dai vallicoltori ai prodotti secondarî (molluschi e crostacei) dei bacini lagunari. 3. In Dante, Vico degli S., traduz. del fr. Rue du Fouarre, a Parigi, dov’erano, nel medioevo, le scuole di filosofia: la luce etterna di Sigieri, Che, leggendo nel Vico de li Strami, Sillogizzò invidïosi veri (Par. X, 136-38).