stordire
v. tr. e intr. [prob. der. del lat. turdus «tordo»; cfr. l’uso fig. di tordo nel sign. di «balordo»] (io stordisco, tu stordisci, ecc.). – 1. tr. a. Causare la perdita, totale o parziale, delle normali facoltà psichiche, e in partic. della coscienza e della capacità di agire e di reagire: i ladri stordirono il guardiano con un colpo in testa; basta un bicchiere di vino a stordirmi; tutto questo chiasso mi stordisce. Nel rifl., diventare meno cosciente, meno padrone di sé cercando divertimenti ed emozioni, o anche dedicandosi ad attività impegnative, allo scopo di dimenticare dolori e dispiaceri: dopo la morte della moglie, si stordisce lavorando dodici ore al giorno; c’era in tutti come una gran voglia di stordirsi, di lasciarsi andare, di essere allegri (Ermanno Rea). b. fig. Sbalordire, rendere attonito per la meraviglia: sono cose che stordiscono; era uno spettacolo da stordire. 2. intr. (non usato nei tempi composti), letter. o raro. Restare senza coscienza: L’altro da lui con sì gran colpo è giunto ... Che ne stordisce in su la sella (T. Tasso). In usi estens. e fig., rimanere sbalordito, esser preso da grande meraviglia: Messer Guiglielmo, vedendo questo, stordì forte e parvegli aver mal fatto (Boccaccio). ◆ Part. pass. stordito, anche come agg. (v. la voce).