spolpare
v. tr. [der. di polpa, col pref. s- (nel sign. 4)] (io spólpo, ecc.). – 1. a. Levare la polpa: s. un pollo; s. un osso, togliere e mangiare la carne che vi è attaccata: mangiavano fino a che restava un osso da s. (I. Calvino). b. Come intr. pron., non com., perdere la polpa, dimagrire: questi tacchini, invece d’ingrassare, si spolpano; in senso iperb.: Non spero del mio affanno aver mai posa Infin ch’i’ mi disosso e snervo e spolpo (Petrarca). 2. fig. Togliere a qualcuno gran parte del suo denaro o dei suoi averi: con queste tasse ci stanno spolpando; i parenti han fatto lega per s. quel povero vecchio; se ti metti in mano agli usurai, quelli ti spolpano; come intr. pron., privarsi di gran parte di quel che si possiede: si è spolpato per far studiare i figli; per comprare la casa mi sono spolpato; non com., impoverirsi, restare privo di ogni o di qualche cosa: Però che ’l loco u’ fui a viver posto, Di giorno in giorno più di ben si spolpa (Dante). ◆ Part. pass. spolpato, in funzione verbale e anche come agg., privo di carne: un osso spolpato; per estens., magro, rinsecchito, emaciato: un cavallo spolpato, squallido, scarno (Segneri); da un rostro elevato grida e declama ad ogni istante una spolpata vecchia (P. Verri); nell’uso tosc., con funzione rafforzativa, tisico (meno com. pazzo, matto, ecc.) spolpato (più spesso spólpo), completamente, nel modo più assoluto; in senso fig. (con uso verbale), impoverito, sfruttato, ridotto allo stremo: il popolo, sprezzato dai letterati, tradito e spolpato dai preti, ... cominciò a vendicarsi ridendo dei letterati, diffidando dei preti (Mazzini).