spaziare
v. intr. e tr. [dal lat. spatiari «passeggiare, distendersi», der. di spatium «spazio»] (io spàzio, ecc.). – 1. intr. (aus. avere) a. non com. Muoversi, estendersi liberamente e ampiamente per un grande spazio: le rondini spaziavano veloci nel cielo; letter., con uso sostantivato: c’era un gran s. d’aria mattiniera e tenera (I. Calvino). Più com. in senso estens. e fig., con riferimento al campo visuale o alle facoltà intellettuali: da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi (Manzoni); l’occhio spaziava sopra una moltitudine di tetti e di tettucci (De Marchi): il genio di Leonardo ha spaziato in quasi tutti i campi dello scibile. Ant. o poet., con la particella pron.: per mezza Toscana si spazia Un fiumicel che nasce in Falterona (Dante). b. Come rifl. e intr. pron., ant., riferito a persona, passeggiare (con sign. vicino a quello etimologico): su per la rugiada spaziandosi, s’allontanarono (Boccaccio). 2. tr. Distanziare nello spazio, disporre alcuni oggetti a una certa distanza gli uni dagli altri. In partic., in tipografia, disporre l’opportuna spaziatura (normale o superiore al normale) tra lettera e lettera, tra parola e parola (o tra linea e linea), mediante l’interposizione dei cosiddetti bianchi tipografici (o dell’interlinea); quando la spaziatura è superiore al normale, si usa più spesso il verbo spazieggiare. ◆ Part. pass. spaziato, anche come agg., distanziato con l’interposizione di un opportuno spazio: disporre le piantine nella terra spaziate di 50 cm l’una dall’altra; mettetevi più spaziati, non state così attaccati. In tipografia, come agg. e s. m., di composizione con spaziatura superiore al normale (più come spazieggiato): una riga spaziata; lo spaziato continua per due pagine.