snervare
(ant. snerbare) v. tr. [der. di nervo, col pref. s- (nel sign. 4)] (io snèrvo, ecc.). – 1. a. In senso proprio, in macelleria e anche in cucina, recidere e togliere i nervi di un taglio di carne. b. Nell’uso com., fiaccare il sistema nervoso e le relative capacità di azione e di reazione di un individuo: l’intenso lavoro di questi mesi mi ha snervato; questa attesa mi snerva; e assol.: è un caldo, è una situazione che snerva. Con sign. più generico, fiaccare, togliere la vigoria e l’energia fisica e morale: l’ozio, la vita troppo facile e comoda lo hanno snervato; in usi fig., ridurre la produttività (con lo sfruttamento), o togliere forza, vigore: egli [il coltivatore] ha interesse a snervare negli ultimi anni il suolo con più vasta coltivazione di cereali (C. Cattaneo); la poesia dell’Arcadia ha snervato la nostra lirica. 2. intr. pron. a. Perdere, in tutto o in parte, la propria energia nervosa, le forze fisiche e morali: in questa forzata inattività mi sto snervando; chi non si snerverebbe a lavorare mesi e mesi senza mai un giorno di riposo?; estens. e fig.: è stato un grande regista, ma ora s’è snervato; quelle tante dimostrazioni in cui si snervò troppa parte del generoso entusiasmo di quei giorni (Bacchelli). b. Riferito a materiali, subire il fenomeno dello snervamento (v.); riferito a gesso e altri leganti idraulici, perdere il proprio potere coesivo. ◆ Part. pres. snervante, frequente come agg.: lavoro, fatica, attesa, caldo snervante. ◆ Part. pass. snervato, anche come agg., spossato, svigorito: essere, sentirsi snervato; fiacco, privo di energia: poesia, critica snervata; la snervata prosa barocca.