sguazzare
v. intr. [der. di guazzo, guazza, col pref. s- (nel sign. 5)] (aus. avere). – 1. a. Stare a proprio agio nell’acqua, agitandosi, sollevando schizzi e sim.: i bambini si divertivano a s. sulla riva del fiume; i porci amano s. nel fango; le anatre sguazzano nello stagno; spesso con valore iperb. per indicare l’abbondare insolito o eccezionale di acqua o di un altro liquido in un luogo: ha piovuto tanto che nelle strade ci si sguazza; Rinaldo tanti quel dì n’affettava, Che in ogni luogo nel sangue si sguazza (Pulci). b. Trovarsi a proprio agio, nel proprio ambiente (in relazione all’idea di divertimento e di compiacimento generale contenuta nel verbo in senso proprio): nel fango, lui, ci sguazza; sono delle linguacce che nei pettegolezzi e negli scandali ci sguazzano; quando il popolo si abbandona alla fantasia addirittura vi sguazza (Palazzeschi). 2. fig. a. S. nell’oro, nell’abbondanza, avere larghe possibilità economiche, disporre di larghi mezzi, vivere senza ristrettezze; anche assol.: è gente che non sguazza. b. S. nelle scarpe, in un vestito, starci troppo largo: in quella giacca io ci sguazzo. 3. non com. Darsi buon tempo; divertirsi senza badare a spese: chi sguazza le feste, stenta il dì di lavoro (prov.); i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria, e a sguazzar per Milano (Manzoni).