sgarbiano
agg. Tipico di Vittorio Sgarbi, storico dell’arte e esponente politico del centrodestra; di Vittorio Sgarbi. ◆ la cronaca di Paolo Vagheggi su «Repubblica» illustra un’aggettivazione sgarbiana leggermente diversa, ancorché pesantemente analoga sul piano dei giudizi di valore: «Sgarbi si scatena citando allestimenti museali che definisce “criminali”» e tra questi «le sale di Brera preparate dall’architetto Vittorio Gregotti (“da galera”)». «Da vomito» o «da galera»? Questo è il dilemma filologico. (Pierluigi Battista, Stampa, 12 novembre 2001, p. 32, Società e Cultura) • Alessandro Riva della rivista «Arte», contando sulla sponsorizzazione sgarbiana, aveva allestito in un ex ospedale una sorta di polemica controbiennale, con presenza di artisti italiani figurativi ignorati dalla Biennale di [Francesco] Bonami. (Camilla Baresani, Sole 24 Ore, 29 giugno 2003, p. 47, Tempo liberato) • Si inaugura la mostra di un pittore argentino, Julio Paz. Voluta e organizzata dall’ex assessore. Quarantottore ore dopo la lettera del sindaco che lo aveva sollecitato a tornare per inaugurare le mostre da lui curate. E lui torna. Portamento poco sgarbiano: volto tirato e poche parole. I due ex contendenti si stringono intorno all’artista sudamericano, un po’ incredulo per una così partecipe attenzione dei media intorno al suo vernissage. (Andrea Senesi, Corriere della sera, 15 maggio 2008, p. 2, Primo piano).
Derivato dal nome proprio (Vittorio) Sgarbi con l’aggiunta del suffisso -(i)ano.
Già attestato nella Repubblica del 15 gennaio 1991, p. 33 (Beniamino Placido).