semiconsonante
s. f. [comp. di semi- e consonante, sul modello di semivocale]. – In linguistica, sinon. di semivocale, usato però quasi esclusivam. per quelle semivocali che precedono una vocale e costituiscono con questa un dittongo ascendente (come in ieri e luogo).
Linguistica. – La lingua italiana possiede due semiconsonanti: la semiconsonante palatale i̯, che ha lo stesso punto d’articolazione della vocale i e delle consonanti gl(i) e gn 〈n’〉 e la semiconsonante u̯, che ha lo stesso punto d’articolazione della vocale u. La grafia ordinaria dell’italiano non dispone di segni appositi per le semiconsonanti: la lettera u ha sempre avuto tutt’e due i valori, vocalico e semiconsonantico, e un tempo aveva anche quello consonantico di v (es. uno 〈ùno〉, uomo 〈u̯òmo〉, e nella scrittura antica uino 〈vìno〉 accanto a vino); dalla lettera i si è cercato di differenziare in senso funzionale, fin dal sec. 16°, la lettera j che ne era in origine una semplice variante grafica, ma se n’è fatto un uso incoerente, applicandola a rappresentare i̯ soltanto nei casi in cui questo suono si poteva avere già in latino, cioè tra vocali (es. gajo 〈ġài̯o〉) o in principio di parola (es. jattura 〈i̯attùra〉), non invece tra consonante e vocale (es. piede 〈pi̯ède〉, occhio 〈òkki̯o〉, non *pjede, *occhjo); e del resto l’uso della j nella scrittura oggi è praticamente scomparso. Nelle trascrizioni fonetiche del presente Vocabolario la pronuncia semiconsonantica delle lettere i, u non è generalmente indicata (salvo che la voce, per intero o in quella parte che contiene una di tali lettere, non debba essere trascritta per altri motivi), e questo perché davanti a vocale tonica la pronuncia semiconsonantica di i, u si sottintende in quanto più frequente di quella vocalica. Nel sistema fonologico italiano le due semiconsonanti costituiscono due fonemi, in quanto, opponendosi agli altri fonemi vocalici e consonantici (comprese le due vocali più affini i e u), valgono a far distinguere parole diverse, aventi in tutto il resto un identico suono: piano 〈pi-àno〉 (der. di Pio) non è piano 〈pi̯àno〉, e lacuale 〈laku-àle〉 non è la quale 〈la ku̯àle〉. Il rendimento funzionale di queste opposizioni è scarso, perché le coppie di parole che si distinguono tra loro soltanto per la diversa pronuncia di una i o di una u sono pochissime; viceversa, sono numerosi i casi in cui per una stessa parola coesistono due pronunce della i o della u, più o meno diffuse e più o meno corrette entrambe (per es. Ariosto 〈ari̯òsto, ari-ò-sto〉, redarguire 〈redarġuì-re, redarġu̯ìre〉), e qualche volta, nell’uso oratorio e poetico, la loro diversità è sfruttata per conseguire determinati effetti stilistici (per es. Italia è un quadrisillabo sdrucciolo, con la seconda -i- vocale alla latina, nel primo verso dell’inno di Mameli, Fratelli d’Italia; è un trisillabo piano nel secondo verso, L’Italia s’è desta). L’opposizione tra i e u vocali e semiconsonanti è poi limitata alla posizione davanti a vocale; in tutte le altre posizioni non si può parlare di semiconsonanti, ma solo di vocali sillabiche o asillabiche, due classi tra le quali non c’è opposizione fonologica: la i di Cairo e la u di Laura, vocali asillabiche nei dittonghi discendenti ài e àu, sono vere vocali né più né meno che la o di Paolo, possono come questa pronunciarsi sillabiche in una pronuncia più lenta (caso frequentissimo, specie se la prima vocale, come negli esempî ora citati, è tonica), e in ogni caso non possono, in quella posizione, dar luogo a un’opposizione (distintiva) con una i o una u sillabiche.