scheggia
schéggia s. f. [lat. schĭdia, dal gr. σχίδιον o σχίζα, der. di σχίζω «spaccare, scindere»] (pl. -ge). – 1. a. Frammento irregolare, per lo più acuminato e tagliente, staccatosi da un minerale o da un corpo di altra materia: una s. d’osso; una s. d’onice; si è tagliato con una s. di vetro; in partic., frammento di un qualsiasi ordigno esplosivo: durante l’ultima guerra è stato ferito da una s. di granata; se usato assol., indica quasi sempre un pezzetto di legno: mi è entrata una s. in un dito e non riesco a levarla. In paletnologia, s. litica, la scheggia che l’uomo dell’età della pietra staccava mediante percussione o pressione dai ciottoli di selce, quarzite, ossidiana, ecc., per usarla come attrezzo o arma, o, lavorandola, per foggiarne un utensile. b. fig. Persona, animale o cosa velocissima: la tua nuova moto è una vera scheggia. S. impazzita, colorita espressione del linguaggio giornalistico apparsa verso la metà degli anni ’80 del Novecento con riferimento a fatti, manifestazioni, episodî, anche gravi e criminosi, che sembrano uscire dalla regola o dalla logica, o che sfuggono a una possibilità di previsione e di controllo (è stata usata in partic. a proposito del ripetersi di atti terroristici isolati, o ritenuti tali, quando il terrorismo sembrava ormai quasi scomparso). 2. ant. e letter. Macigno, masso di taglio irregolare: proseguendo la solinga via, Tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio, Lo piè sanza la man non si spedia (Dante); il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio (Manzoni). V. anche scheggio. ◆ Dim. scheggétta, scheggiòla, scheggiolina.