scarso. Finestra di approfondimento
Quantità ridotta - Numerosi agg. e avv. esprimono in ital. il concetto di quantità più o meno elevata. Tra gli agg. più com. per quantità elevate si annoverano molto,tanto e troppo; per quantità esigue, poco e scarso. S. è l’unico dei cinque agg. a non poter avere valore avverbiale (senza ricorrere al der. scarsamente), ed è anche l’unico a poter essere collocato sia prima sia dopo il sost. cui si riferisce: lì studiava allo scarso lume di un lanternino a petrolio (A. Oriani); don Abbondio stava, come abbiam detto, sur una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina, che gli faceva cornice introno alla faccia, al lume scarso d’una piccola lucerna (A. Manzoni); c’è troppa (o poca) luce in questa stanza. Ammette inoltre una doppia costruzione, sia in riferimento a persona (scarso di) che possiede una determinata qualità o quantità in misura ridotta, sia alla qualità o quantità stessa: egli è fuori d’ogni vizio ma s. di qualche virtù (G. V. Gravina); non aspettate dal mio s. spirito materia bastante per divertirvi (C. Goldoni). Esiguo e insu·ciente sono sinon. più formali di s.; entrambi ammettono, come s., la doppia posizione pre- e postnominale, ma nessuno dei due consente (se non in usi partic. e lett.) una costruzione analoga a quella di s. di. Inoltre, insufficiente, più di scarso ed esiguo, non si limita ad esprimere la quantità ridotta, bensì sottolinea che si tratta di quantità inferiore al necessario: occorrono esigue risorse per questo lavoro; se lo strumento è insufficiente o s., s. e insufficiente sarà anche effetto (G. Leopardi). Un sinon. più com. di esiguo è limitato: una persona di cultura limitata (o di limitata cultura).
Poco e po’ - Poco è agg. e avv. assai com. in tutti i registri e si può dire che non abbia nessun sinon. propriam. detto (se non più formale o più fam. o più specifico), soprattutto quando, al plur., si riferisce a enti numerabili: ha preparato l’esame in pochi giorni; in banca c’erano pochi impiegati e troppi clienti. Come si può vedere dagli esempi, poco esprime sia il concetto di «ridotta quantità » (primo es.), sia quello di «quantità insufficiente» (secondo es.), e può dunque contrapporsi ora a molto, ora a troppo. Sono comunque possibili anche gli intens. molto poco e troppo poco, più com. come avv. che come agg.: il vivere di regali e di protezioni è una cosa di troppo pericolo e di molto poco decoro (C. Goldoni); i suoi abiti erano vecchi: non voleva farsene uno nuovo, perché pensava di dover morire presto e quindi di portarlo troppo poco (F. Tozzi). Alcune volte anche s. è usato al plur., ma si tratta per lo più di usi formali, oppure con sost. usualmente non numerabili e in cui s. ha più il valore di «insufficiente qualitativamente» (ma i fatti psicologici erano ancora troppo s. e superficiali, perché ne potesse uscire una soluzione de’ problemi metafisici [F. De Sanctis]), a meno che non sia posposto a notazione numerica, a indicare che non si raggiunge, o che si raggiunge a mala pena, la misura stessa: figuratevi che in tre anni s. io aveva imparato quello che gli altri in sei (I. Nievo). A differenza di altri agg. e avv. di quantità, poco può essere alterato (pochino, pochetto, pochettino, pocolino e altri; ma sono possibili, sebbene molto fam., anche scarsino e scarsetto: il tuo livello mi sembra un po’ scarsino): pochine, cento lire, signor dottore (L. Pirandello); se non fratelli eravamo a questo modo un pochetto cugini (I. Nievo). Inoltre, si è grammaticalizzato nell’espressione avv. un po’ (o aggettivale un po’ di; un poco e un poco di sono più formali), con diversi significati. Talora può essere parafrasata con espressioni di quantità del tipo «in scarsa misura» o «esiguo» e sim.: quelli ch’erano un po’ più lontani, non se ne stavano di provocarli, con visacci e con grida di scherno (A. Manzoni); sapete che comincio a credere che abbiate un po’ di paura? (A. Manzoni). Spesso è usata come segnale discorsivo, ovvero come avv. frasale d’uso com. che serve ad attenuare l’intero enunciato: oh, andiamo un po’ a vedere, che albergo è questo (C. Goldoni). Raram. un po’ e poco coincidono. Un enunciato come sono un po’ stanco, in effetti, non può essere parafrasato con sono poco stanco, ma è, semmai, più vicino al sign. di sono molto stanco, come mostrano i due esempi seguenti: ho guidato tutto il giorno e ora sono un po’ stanco; sono un po’ stanco di subire sempre i tuoi rimproveri. Ciò implica che poco è necessariamente legato al concetto di «scarsa quantità», mentre un po’ ha valore più genericam. discorsivo e attenuativo. Infine, un po’ può essere sinon. fam. di quasi, in enunciati del tipo: il suo abbigliamento sempre impeccabile era un po’ uno strumento di difesa.
Quantità elevata - Molto è l’agg. e l’avv. più com. come contr. di poco. Ha come sinon. più fam. parecchio e tanto, che, al pari di molto, possono riferirsi sia a quantità non numerabili (acqua,caldo,forza ecc.) sia a quantità numerabili (al plur.: molti tentativi; parecchi soldi; tante persone) e possono essere anche avv.: deve aver costato parecchio (G. Verga); ho tanta sete. Altri sinon. sono invece soltanto agg. e limitati alla serie dei numerabili (numeroso e il più formale molteplice, che, così come svariato, pone più l’accento sulla varietà che soltanto sul numero: c’erano stati sempre numerosi partiti, a San Nicola [F. De Roberto]; gli aspetti e le sorgenti della felicità sono molteplici [F. Tozzi]), oppure a quella dei non numerabili (abbondante: neve abbondante caduta il giorno innanzi [I. Svevo]). Gli altri sinon. di molto come avv. sono quasi tutti più formali e derivano da agg.: abbondantemente, ampiamente, considerevolmente, fortemente, grandemente, notevolmente: la temperatura si è abbassata notevolmente. Molto com. come avv. è assai: la stessa natura non aveva che attrattive assai deboli (I. U. Tarchetti); il petto mi duole assai (G. Verga). Come agg. è meno com., soprattutto se posposto al sost.: in questa stagione ci sono assai fiori (o fiori assai). Quest’ultima costruzione è tipica dei dialetti meridionali.
Oltre il dovuto - Troppo è l’unico termine non marcato (come agg. e come avv.) per indicare una quantità ritenuta maggiore del giusto, del dovuto, del normale e sim. Come avv., i sinon. sono tutti più formali: eccessivamente, esageratamente, in eccesso, oltremisura ecc.: le sue spalle erano larghe e il suo seno ampio, benché la cintura le serrasse troppo la vita, divenuta eccessivamente sottile sotto la pressione continua della moda (A. Oriani). Come agg., oltre a essere più formali, i sinon. (eccedente, eccessivo, esagerato ecc.) sono di solito più specifici e, a differenza di troppo che è sempre preposto al nome (quando non è in funzione predicativa), possono anche avere posizione postnominale: ha mostrato un interesse eccessivo nei confronti di mia sorella; ha un attaccamento esagerato ai genitori. In partic., eccessivo ed esagerato si riferiscono spesso anche alla qualità più che alla semplice quantità, e sono quindi adatti a sentimenti, comportamenti e sim.: fatte molte professioni di esagerata umiltà, di esagerato rispetto per il gran talento e per il generoso cuore di sua figlia, che tanto fremeva, incominciò, quasi parlando a se stessa, a ripeter l’iliade de’ passati falli di sua cognata (A. Fogazzaro). Eccedente è invece limitato a contesti referenziali in cui si parli di soldi, pesi, misure e sim. ed è spesso usato con valore verbale: non possiamo imbarcare un carico eccedente.