scabro
agg. [dal lat. scaber -bra -brum «ruvido», der. di scabĕre «grattare»]. – 1. a. Detto di ciò la cui superficie non è né liscia né uniforme, e che perciò risulta ruvido al tatto: pietra s.; la pelle s. dello zigrino; una mano della ragazza ... cercò la sua: sentì nel suo il palmo dell’altra s. e bruciante (Jovine). b. In meccanica, di superficie che presenta attrito. 2. In senso fig., letter. a. Brullo, pietroso, detto di terreno: da’ nudi sassi dello scabro Apennino (Leopardi); Itaca scabra (Pascoli). Per estens., raro, di strada, sassosa e disagevole: postiglioni, che allora avevano a lottar di continuo colle s. strade (Rovani). b. Di persona, rozzo e selvaggio: el divin fabro [Vulcano] ... Ancor dalla fucina irsuto e scabro (Poliziano). c. Difficoltoso, ostico: stampa ... scabra a leggersi, piena di abbreviature (Alfieri). d. Scabroso, delicato e complesso, detto di argomento, discorso e sim.: Su i temi ingrati e scabri (Parini). e. Detto di stile, linguaggio e sim., conciso, asciutto ed essenziale, privo di ornamenti e arricchimenti superflui: la s. prosa del Verga verista.