salsiccia
salsìccia (pop. salcìccia) s. f. [lat. tardo salsīcia, neutro pl. di salsicium, formatosi per incrocio di insicium, insicia «salsiccia, carne tritata» con salsicius «salato»] (pl. -ce). – 1. a. Carne suina (talora anche di cinghiale e, in alcune tradizioni locali, di oca o di carne bovina, equina, ovina), magra e grassa, tagliata a piccoli pezzi o triturata più o meno finemente, salata e variamente aromatizzata, e insaccata in budella di suino (oggi anche in tubi di sottile plastica flessibile e trasparente) di piccolo diametro, che vengono legate e divise a tratti mediante strozzature con spago sottile, in rocchi di misura variabile dagli 8 ai 12 cm, da mangiarsi crudi o cotti a seconda che siano o no stagionati: s. fresca, secca; s. di fegato; davanti alla casupola stava una donna, e traeva a bracciate da un canestro ai suoi piedi una lunghissima s., misurandola a tese come si misura lo spago (P. Levi). Nell’uso com., anche ciascuno dei rocchi stessi: comprare sei s.; s. cotte allo spiedo, alla griglia; polenta e salsicce. b. Salsicce di Vienna o di Francoforte, lo stesso che würstel. c. Locuzioni fig.: fare salsicce di qualcuno, iperb., malmenarlo, massacrarlo; legare la vigna, le viti, con le salsicce, vivere nell’abbondanza, nello spreco: una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce (Boccaccio). 2. ant. Per analogia, lunga tasca di tela o di cuoio ripiena di una miscela pirica, che veniva usata come miccia per comunicare il fuoco alle mine o ai brulotti. ◆ Dim. salsiccétta, salsiccina, meno com. salsicciòlo m.; accr. salsiccióna, e salsiccióne m. (v.); tra dim. e accr. salsicciòtto m. (v.).