rimando
s. m. [der. di rimandare]. – 1. L’azione di rimandare, il fatto di venire rimandato, nel senso di mandare o lanciare indietro: ha sentito come una punizione il suo r. all’ufficio di provenienza; un r. troppo lungo della palla (ma nell’uso sportivo, in riferimento alla palla o al pallone, il termine tecnico è rinvio, v. rinvio, n. 1). In senso fig., è com. la locuz. avv. di rimando, con risposta pronta e calzante, quasi riprendendo le parole dell’interlocutore, spesso con intenzione polemica e ostile o contraddicendo: Iocondo a lui rispose di rimando, E disse: «Tu di’ quel ch’io a dire avrei» (Ariosto); «Sei un ladro!» gli gridò, e lui di r.: «Senti chi parla!». 2. Il fatto di rimandare il lettore ad altra opera o ad altro passo di un’opera, e concr. l’indicazione scritta (per lo più preceduta da vedi, confronta, abbreviati in v. e cfr. o, meno com., cf.) con cui si rimanda il lettore: nelle note fa continui r. all’opera del De Sanctis; r. da una voce all’altra nel dizionario; r. dall’uno all’altro articolo di una legge. Anche il numero o l’asterisco che, intercalato nel testo, serve a richiamare l’attenzione del lettore sulla nota contrassegnata con lo stesso numero o con l’asterisco (frequente, in questa specifica accezione, anche rinvio). 3. Raro come sinon. di rinvio nel senso di differimento ad altra data, dilazione: diritto di r., il compenso percepito da una banca per la tolleranza di un giorno al pagamento di una cambiale oltre quello successivo alla scadenza.