rapire
v. tr. [lat. rapĕre, con mutamento di coniugazione] (io rapisco, tu rapisci, egli rapisce [poet. rape], ecc.). – 1. a. Portare via con la forza, strappare con la violenza derubando: il lupo rapì due agnelli; il nibbio ha rapito un pulcino; e assol.: ahi malestrui e malnati, ... che rapite a li men possenti (Dante). Più comunem., condurre via con sé una o più persone (spec. donne o bambini) distaccandole dalla propria famiglia o comunità con la violenza o con inganni o con la seduzione: Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, Fuor mi rapiron de la dolce chiostra (Dante); i Romani rapirono le Sabine; Lucia fu fatta r. dall’innominato; fu rapito dall’anonima sequestri quando era bambino; r. qualcuno (a scopo di estorsione), espressione frequente nell’uso com. per il termine giur. sequestrare. b. In usi letter. o elevati, con valore estens., trascinare via con sé, travolgere: il fiume in piena rapiva piante e animali; foglie secche rapite dal vento turbinoso; e fig., sottrarre: la morte lo ha rapito all’affetto dei suoi cari; Rapìan gli amici una favilla al Sole A illuminar la sotterranea notte (Foscolo). 2. fig. Trarre a sé, concentrare in sé tutto l’affetto, il pensiero, il sentimento di una persona: una melode Che mi rapiva, sanza intender l’inno (Dante); Li vede, e rapito d’ignoto contento, Con l’agile speme precorre l’evento (Manzoni); r. in estasi, in ammirazione; la grande poesia rapisce la mente, l’anima, il cuore; la bellezza di quello spettacolo lo aveva rapito. ◆ Part. pass. rapito, anche come agg. e s. m. (f. -a) (v. la voce).