rabula
ràbula s. m. [dal lat. rabŭla, voce di etimologia incerta, dagli antichi connessa con rabies «rabbia» o con ravus «rauco»]. – Termine spreg. con cui, nel dibattito sull’oratoria latina dell’età classica e argentea (Cicerone e Quintiliano), erano polemicamente qualificati quegli avvocati che nelle loro declamazioni mostravano scarsa misura e compostezza nel gesto e nella voce. Si usa ancora a volte, nel linguaggio letter. (anche come femm., una r., e così al plur. rabule), per indicare in tono spreg. un avvocato chiacchierone, arruffone o disonesto: D’infami rabule, Di birri e spie (Giusti).