rabarbaro
rabàrbaro (ant. o pop. rabàrbero o reobàrbaro o reubàrbaro, ecc.) s. m. [esiti varî del lat. tardo reubarbărum, gr. ῥᾶ βάρβαρον, cioè rheum, o ῥῆον, «straniero»: il gr. ῥῆον, adattam. del nome pers. della pianta, rēvand e rīvand, si è alterato in ῥᾶ su influsso del nome gr. ῾Ρᾶ del fiume Volga, per indicare con etimologia popolare l’origine orientale di questa pianta]. – 1. Nome di una cinquantina di piante poligonacee, appartenenti al genere Rheum: sono erbe perenni, originarie delle regioni temperate e subtropicali dell’Asia, con grosso rizoma, fusti alti anche più di 4 metri, foglie basali molto grandi, ricche infiorescenze con piccoli fiori e frutto ad achenio; in Italia si trovano due specie: Rheum palmatum, pianta ornamentale, coltivata e inselvatichita nell’Agordino (nel territorio di Belluno), e Rheum rhabarbarum, il rabarbaro comune, coltivato come verdura in Alto Adige. Alcune specie (Rheum tanguticum, Rheum officinale, ecc.) forniscono col rizoma (detto comunem. radice di r.) tagliato a pezzi, spicchi o fette, una droga medicinale che ha odore, colore e sapore speciali, e presenta, sparsi in tutta la massa, caratteristici corpi stellati dovuti a formazione anormale di fasci vascolari attraversati da ampî raggi midollari disposti a stella. Il rizoma, per il suo contenuto di principî attivi (acido crisofanico, emodina, reina e loro glicosidi), è utilizzato, già da tempo antichissimo, per ottenere estratti, tinture o altri preparati dotati, a seconda delle dosi impiegate, di azione eupeptica, coleretica o lassativa. 2. Liquore amaro preparato con il rizoma polverizzato del rabarbaro e usato come tonico e digestivo: una bottiglia di r.; un r. liscio, al selz; caramella al rabarbaro.