putire
v. intr. [lat. putēre «puzzare» (corradicale di pus), con mutamento di coniug.] (io putisco o puto, tu putisci o puti, ecc.; aus. avere), letter. – Emanare cattivo odore, puzzare: Pute la terra che questo riceve (Dante); non potremmo noi trovar modo che costui si lavasse un poco dove che sia, che egli non putisse così fieramente? (Boccaccio); con compl. di specificazione, anche con il sign. più generico e neutro di mandare odore: se simil femina avessi per moglie, mi parria che sempre putisse di beccaio (Bandello); l’odore del fumo putisce sempre di acceso zolfo (Spallanzani). Anche con gli usi fig. di puzzare, riuscire fastidioso, suscitare disgusto (anche morale), destare sospetto, far capire la propria natura o identità, rivelare le proprie qualità, e sim.: noi siamo i più così fatti: ci putiscono le cose nostre (Cesari); voi dite ... che io puto d’ateismo, e pur non m’avete ancor fiutato (Giannone); putiva abbastanza dello sbirro e della spia (I. Nievo); trattatelli che putivan di lucerna e di pomice lontano un miglio (Papini). ◆ Part. pres. putènte, anche come agg. (v. la voce).