prosciutto
s. m. [der. di asciutto, con sostituzione di prefisso]. – 1. Coscia di maiale salata e fatta prosciugare in ambienti adatti per la conservazione (il nome si usa anche per la spalla del maiale che ha avuto lo stesso trattamento); si mangia crudo, dopo opportuna stagionatura, per lo più tagliato a fette più o meno sottili (tranne che in alcuni usi di cucina, per i quali viene tagliato a dadini). Vengono detti tipici, i prosciutti (di Parma, di San Daniele, ecc.) preparati secondo particolari norme che prevedono strettamente la zona geografica, i tempi e i modi della lavorazione e della stagionatura, i marchi, le confezioni, ecc., mentre si dicono genericam. nostrani o di montagna gli altri. Con altri trattamenti di conservazione, cioè una particolare cottura o l’affumicatura, si ottengono rispettivam. il p. cotto e il p. affumicato. In gastronomia, il termine indica anche la coscia fresca del maiale che viene preparata in varî modi, intera o a pezzi (p. brasato, p. al marsala, ecc.). Per estens., si parla di p. di cinghiale, di p. di capriolo per le cosce dei rispettivi animali trattate in modo analogo al prosciutto di maiale. Nella fraseologia il termine, quando non sia altrimenti specificato, viene in genere riferito al prosciutto di maiale crudo: p. grasso, magro; l’osso, la cotenna del p.; mangiare pane e p.; antipasto di fichi e p., di p. e melone; frittata col p.; piselli col prosciutto. Fig.: avere le orecchie foderate di p., di chi non sente o non vuole sentire (più raro, avere gli occhi foderati di p., di chi per distrazione o altro non vede qualcosa); levarsi (o cavarsi) la sete col p., cercare una soddisfazione che lascia scontenti. 2. Nella moda femminile, manica a prosciutto (o semplicem. prosciutto), tipo di manica che, rigonfia alla spalla, si restringe verso il polso: le signore portavano i p.: quelle maniche enormi all’omero, e che andavano via via affinando verso il polso (Palazzeschi) ◆ Dim. prosciuttino.