proprio
pròprio (pop. pròpio) agg. e avv. [dal lat. proprius, prob. dalla locuz. pro privo «a titolo privato, personale»]. – 1. a. Che appartiene a una determinata persona, che è veramente suo e non d’altri: cosa p., di cui si ha la proprietà; dominio p., in contrapp. a dominio improprio, è quello costituito dai rapporti di dominio diretto (o proprietà piena) e di dominio utile (v. dominio); il sentimento della p. dignità; lettera scritta di p. pugno; amor p., amore di sé, verso sé stesso (v. amore, n. 1). Unito a un aggettivo possessivo, serve a rafforzarlo: agisce per motivi suoi p.; fanno il loro p. interesse; l’ho udito con le mie p. orecchie; ma se riferito a un soggetto di 3a persona, può essere usato da solo, invece del possessivo, di cui fa le funzioni (e in genere con più forza di suo, loro): avrà le p. ragioni per comportarsi così; ha intestato il libretto a nome p.; sono riusciti con le p. forze; l’ha fatto con le p. mani; con soggetto di cosa: ogni casa ha il p. giardino; i modelli sono contrassegnati ciascuno con un p. numero; stelle che splendono di luce propria. Specificamente, è usato invece del possessivo di 3a pers. nelle frasi con soggetto indeterminato e, ancor più, nelle frasi enunciate senza soggetto, in forma impersonale: andavano ciascuno per conto p.; nessuno è buon giudice in causa p.; riassumere con p. parole; attendere ai p. affari; dar retta alla p. coscienza; abbandonare qualcuno al p. destino (qui p. si riferisce non al soggetto ma al compl. oggetto). Può sostituire anche il possessivo di 2a pers. (tuo o vostro), spec. quando si vuole contrapporre ad altrui (o d’altri): in casa p. puoi fare ciò che vuoi, qui no! b. Sostantivato al plur., i p., i parenti più stretti (nell’articolazione delle frasi, più com. i suoi): ognuno desidera far Natale con i p.; per i p., farebbe qualsiasi sacrificio. 2. a. Di qualità, dote, virtù, che appartiene in modo particolare a una persona, a una cosa, costituendone una caratteristica: la ragione è p. soltanto dell’uomo; la calma è p. dei forti; con l’ostinazione p. dei muli; quel bel colore azzurro che è p. dei fiordalisi; l’armonia che è p. della poesia vera; non sono malattie p. della vecchiaia ma di tutte le età; le qualità p. degli acidi; ha un sapore, un colore, un odore suo proprio. Più largamente, di ogni manifestazione o atteggiamento caratteristico: aveva il naso rosso p. degli ubriaconi; quegli improvvisi rossori che sono p. delle persone timide; con la baldanza p. dei giovani; con l’innocenza p. della sua età; presentava tutti i sintomi p. della setticemia. b. In parecchi casi, equivale a particolare, speciale, opponendosi a ordinario, comune e sim.: con una grazia tutta sua p.; ha sempre avuto idee sue p.; ha un metodo tutto p. per riuscire; sostantivato, nella frase avere di proprio, avere come qualità particolare e caratteristica: ha questo di p., che non perde mai la pazienza. Nel diritto penale, reato p., in contrapp. a reato comune, quello che non può essere compiuto da chiunque, ma solo da chi abbia una determinata posizione giuridica o di fatto (per es., il delitto di peculato può essere compiuto solo dal pubblico ufficiale e dall’incaricato di pubblico servizio). Nella liturgia, si dice di ogni elemento che, nella celebrazione della messa e dell’ufficio, non rientra nelle parti ordinarie e comuni (costituenti il quadro uniforme della celebrazione) e che varia secondo il tempo liturgico e le festività; come s. m., con valore neutro, il p. di una messa, l’insieme degli elementi proprî; il p. dei santi, di una diocesi, di un ordine religioso, parti del messale e del breviario romano in cui sono rispettivam. contenuti i formularî proprî della messa e dell’ufficio dei santi, o delle feste celebrate in una determinata diocesi o ordine religioso. c. Conveniente, opportuno, adatto a persone o cose: non è questo il luogo più p. per simili discorsi; mercé del loco Fatto per proprio de l’umana spece (Dante), il paradiso terrestre, creato apposta da Dio per conveniente e perfetta dimora dell’uomo. In funzione di predicato nominale, con valore neutro: è p. del giudice, è p. d’un buon padre, ecc. si addice, conviene, spetta a ... (con soggetto costituito in genere da una prop. infinitiva). 3. Con sign. affini ai precedenti ma con accezioni o usi partic.: a. In grammatica, nome p., che designa una singola e determinata persona o cosa (v. nome, n. 1), in contrapp. al nome comune. b. Di parola o locuzione che esprime con esattezza l’idea che si vuole significare: ci dev’essere un termine p. per indicarlo; non è questa l’espressione più p., ma spero che tu mi capisca ugualmente; non riesco a trovare una parola più p.; il suo p. nome è questo (cioè il suo vero nome, diverso da nome proprio); ci sono cose che, per decenza, non si possono chiamare col loro p. nome; se vogliamo chiamare le cose col loro p. nome, questa è una vera mascalzonata. Analogam., uso p. dei vocaboli, l’uso esatto, non approssimativo. Ha valore più generico quando rafforza enfaticamente l’agg. vero per sottolineare il sign. del sostantivo cui è riferito: hai commesso una scorrettezza vera e p.; la sua è vera e p. sfacciataggine; questa è vera e p. iella! Con riferimento al sign. di vocaboli, senso p. è l’accezione esatta e ristretta che ha una determinata parola, in contrapp. sia ad usi improprî sia a valori estensivi o figurati che comunemente le sono attribuiti; anche sostantivato (per ellissi di senso): nel p. e nel figurato. Analogam., linguaggio p., quello in cui le parole sono adoperate ciascuna nel suo vero significato. c. Valori affini ha proprio in matematica, contrapponendosi per lo più a improprio o a in senso lato: in aritmetica elementare, divisore p. di un numero, un divisore che sia diverso dal numero in questione e dall’unità; frazione p., frazione minore dell’unità; disuguaglianza in senso p., disuguaglianza che riguarda la relazione di «maggiore» (simbolo: >) o quella di «minore» (simbolo: 〈), contrapposta alle disuguaglianze in senso lato, nelle quali si fa riferimento alle relazioni di «maggiore o uguale» (simbolo: ≥) o di «minore o uguale» (simbolo: ≤); nella teoria degli insiemi, sottoinsieme p. di un insieme, un sottoinsieme che non coincide con l’insieme dato; con altro sign., in geometria proiettiva, punto p., un punto del piano o dello spazio elementare, in contrapp. a punto improprio o all’infinito (analogam. si parla di retta p., piano p.). In fisica, si parla di oscillazioni p. per indicare le oscillazioni libere di un corpo elastico, di un circuito oscillante, ecc.; frequenza p. e periodo p., sono quelli corrispondenti a tali oscillazioni; nella meccanica relativistica, in cui le variazioni del tempo dipendono dal sistema di riferimento, il tempo p. è la misura del tempo degli eventi relativi a un corpo nel suo riferimento di quiete. In astronomia, con la locuz. moto p. di una stella s’indica la variazione, usualmente in secondi sessagesimali all’anno, delle coordinate celesti dell’astro in conseguenza del suo moto peculiare. 4. Come s. m., con valore neutro: a. Ciò che appartiene a qualcuno, che è sua proprietà: ognuno cercava di salvare il p.; spendere, pagare, rimetterci del p.; non chiede altro che il p., ciò che gli spetta di diritto. In proprio, come locuz. avv., di sua proprietà: possiede qualche ettaro di terreno in p.; aveva una casetta in p.; ha una industria, un negozio in p. (a nome suo, che non gestisce cioè o amministra per conto di terzi); con altro sign., rispondere in p., rispondere di persona o di tasca propria, avere cioè diretta responsabilità. b. Qualità peculiare, che appartiene intimamente e singolarmente all’oggetto, distinguendolo da ogni altro: il p. di un’arte, il p. di una situazione. Nella logica aristotelica, il proprio è uno dei cinque predicabili, e precisamente un carattere che appartenga a una sola specie, ma d’altra parte a tutti gli individui che ne fanno parte (per es., un proprio per l’uomo è la facoltà di ridere). 5. non com. Per influsso del fr. propre, pulito, ordinato, decoroso: un vestito p.; una casa propria. Anche, ben educato, per bene: questo non è ragionare da fanciulla propria e civile (Goldoni). 6. In funzione di avv.: a. Esattamente, precisamente per l’appunto; serve a insistere sul concetto della parola che determina: p. adesso, in questo stesso momento, or ora; è andata p. così; e p. oggi ne avevi bisogno!; p. qui dovevi metterti? b. Veramente, davvero: sei p. tu?; questo vestito ti sta p. bene, ti assicuro; vuoi p. farmi perdere la pazienza!; non è p. il caso di fare complimenti. Frequente come rafforzativo di un aggettivo: è p. squisito; l’hai detta p. grossa!; è p. interessante; ne sei p. sicuro?; sei p. deciso? Come risposta, o in aggiunta a quanto detto da altri, serve a confermare: «Non ha un briciolo di coscienza» «Proprio!». Pronunciato con tono interrogativo, chiede conferma: te l’ha dato lui? proprio?; «Non ne voglio più» «Proprio?»; «Ti prometto che ritorno subito» «Proprio?» (cioè: dici davvero?, parli sul serio?). Talora ironico: «Non ci guadagno neanche un centesimo» «Proprio?». c. Propriamente, cioè con proprietà di linguaggio: Però chi d’esso loco fa parole, Non dica Ascesi, ché direbbe corto, Ma Orïente, se proprio dir vuole (Dante). Avv. propriaménte (v. la voce).