prole
pròle s. f. [dal lat. proles, comp. di pro-1 «avanti» e alĕre «alimentare, nutrire»]. – 1. a. L’insieme dei figli facenti parte di una famiglia: avere una p. numerosa; essere sposato con, senza prole; nel linguaggio giur.: obbligo di mantenere, educare e istruire la p.; p. legittima, illegittima; legittimazione della prole. Talora ha un senso più astratto, e non necessariamente collettivo: p. maschile, femminile; p. unica; altre volte invece assume valore concr. e determinato, in frasi scherz., di tono enfatico: purtroppo hanno accettato l’invito, e porteranno come al solito tutta la p.; come sta la p.?; anche riferendosi a un solo figlio: la p. cresce bene?; è questa la tua prole?; ma anche nel linguaggio letter. e poet.: Con la squallida p. e con la nuda Consorte a lato (Parini); Altro ufficio più grato Non si fa da parenti alla lor p. (Leopardi); e col sign. di figlio: generosa Erculea prole, Ornamento e splendor del secolo nostro (Ariosto), il cardinale Ippolito d’Este, figlio di Ercole I. b. letter. P. divina, p. di dei, p. dei numi, celeste p., e sim., figli o discendenti di divinità; espressioni riferite anche, talvolta, per adulazione o per ironia, a mortali, nobili o potenti: A voi, celeste p., a voi, concilio Di semidei terreni (Parini). 2. estens., letter. Discendenza, stirpe: quell’uom che non nacque, Dannando sé, dannò tutta sua p. (Dante), con riferimento ad Adamo; l’umana p., il genere umano; umana P., cara agli eterni! (Leopardi). 3. Riferito ad animali, ha un senso esclusivam. biologico, indicando la progenie, soprattutto nel rapporto di sostentamento con i genitori. In partic., in biologia: p. atta o precoce, i piccoli di mammiferi e uccelli che sono in grado, appena nati, di muoversi autonomamente e seguire i genitori (v. anche nidifugo); p. inetta, i piccoli che alla nascita sono nudi e ciechi e devono trascorrere un certo tempo nella tana o nel nido, accuditi dai genitori, prima di potersi rendere autonomi (v. anche nidicolo). Nel linguaggio letter. invece ha tono piuttosto solenne, essendo sentito come un traslato: qui lo stuolo Fabro dell’aureo mèl pose a sua prole Il felice alvear (Foscolo), le api posero l’alveare per i loro nati; e un traslato è anche il riferimento a piante e prodotti della terra: una bellissima quercia, porgente grandissime ombre con gli ampi rami, di nuove frondi carichi e mostranti lieti segnali di copiosa p. (Boccaccio); Il riposato suol piccardo attende L’aratro che l’inviti a nuova p. (Carducci).