prode
pròde agg. e s. m. e f. [lat. tardo prōde, agg. invar. tratto da prodest, prodesse «giovare»]. – 1. agg. Valoroso, coraggioso, intrepido: uomini, soldati p.; un p. guerriero; i più p. cavalieri; ant. prod’uomo (dal fr. prud’homme, ant. preudhomme, attraverso il provenzale): l’uno e l’altro era prod’uomo molto nell’arme (Boccaccio); il prode Anselmo, personaggio di un notissimo scherzo in versi, «La partenza del crociato» (1856) di G. Visconti Venosta. Anche riferito a un nome collettivo: un p. manipolo, un popolo p.; la p. soldatesca uscì in campagna (I. Nievo). Con uso sostantivato: ogni madre insegna alle sue fanciulle la storia d’un prode (Berchet); soprattutto al plur.: avanti, miei p.!; un pugno, una schiera di prodi; disgiunse aspra contesa Il re de’ prodi Atride e il divo Achille (V. Monti); in Maratona Ove Atene sacrò tombe a’ suoi p. (Foscolo). 2. s. m. (invar.), ant. a. Giovamento, utilità, vantaggio (è forma disusata, mentre sopravvive la forma apocopata pro, v. pro2): L’onor suo torna a onta e ’l prode a danno (Guittone); a prode e a piacere di coloro che non sanno e disiderano di sapere (Novellino). Locuzioni: esser p., far prode, esser giovevole, e quindi giovare, far bene: non si deono le margarite gittare innanzi a li porci, però che a loro non è prode (Dante); a voi fa prode L’aria di monte (Pascoli). b. Interesse, frutto del capitale (v. pro2).