prigionia
prigionìa s. f. [der. di prigione1]. – 1. a. La condizione di chi è prigioniero, spec. con riferimento alla detenzione, da parte degli avversarî, dei soldati catturati durante operazioni belliche: è tornato dopo quattro anni di p.; ha fatto due anni di p. in Russia. Anche con il sign. più generico di carcerazione, reclusione, spec. quando si tratti di condanne per motivi politici o ideologici (meno com. negli altri casi): ha sofferto anni di dura p. per la sua avversione al regime dominante; epistole dalla p., denominazione di quelle epistole di s. Paolo che si suppongono scritte mentre l’apostolo era prigioniero (e cioè, ai Colossesi, agli Efesini, ai Filippesi, e a Filemone). b. Per estens., stato di segregazione forzata in luogo angusto, con privazione della libertà di movimenti: in capo a quattro o cinque giorni di p., una mattina, Gertrude ... andò a cacciarsi in un angolo della camera (Manzoni). Anche di animali che siano rinchiusi in gabbia. 2. fig., letter. a. Condizione di isolamento dalla vita sociale della comunità: ho passeggiato a piedi per ore, rifacendomi della p. volontaria sofferta in Isvizzera (Mazzini). b. Sensazione di disagio e di costrizione provocata da una parte del corpo che si trovi o si senta chiusa entro una struttura scomoda o un indumento troppo stretto: si alzò, sfilò fuori la persona dalla p. della panca e del tavolo (Tecchi); non vedo l’ora di liberarmi dalla p. di questi stivali. c. La condizione di chi si sente dominato da qualcuno o da qualche cosa a cui non riesce a sottrarsi: la p. dell’amore, della passione; non son riuscito ancora a liberarmi dalla p. della critica kantiana (B. Croce).