premiopoli
(Premiopoli), s. f. inv. (iron.) Le beghe, le polemiche, gli scandali e i pettegolezzi suscitati dall’attribuzione dei premi letterari. ◆ Forse stuferebbe un po’ meno Premiopoli, ovvero il bombardamento di terne e cinquine dell’estate mondan-letteraria italiana, se non fosse la litania degli stessi autori che trasmigra da una «rosa» di finalisti all’altra, facendola appassire al primo sboccio. [...] È, purtroppo, consuetudine annosa, difficile da sradicare dal terreno arido di Premiopoli. (Tempo, 22 giugno 2003, p. 12, Cultura) • lo dice un altro dei giurati in rivolta, Vanni Ballestrazzi, giornalista, amico fraterno di Raul Gardini: «Da sempre il Guidarello è stato fuori da premiopoli, dal circuito del do ut des, dello scambio. Ora cambia pelle, perde l’anima, non mi interessa più, e credo neppure alla città». (Michele Smargiassi, Repubblica, 17 settembre 2006, Bologna, p. I) • Anche il poeta Maurizio Cucchi, giovedì sull’«Avvenire», ripeteva – come recitava il titolo del suo articolo – «le solite polemiche». Sacrosante, senza dubbio, soprattutto quando apriva uno spiraglio sul grottesco sottomondo dei premi di poesia. […] Ammetteva, Cucchi, di aver «aperto una questione senza chiuderla». Ci piacerebbe vederlo passare dalle parole ai fatti, per esempio stilando l’elenco e dando i voti. Proprio per non restare nella chiacchiera, quella che non sa trovare di meglio che paragonare la premiopoli di casa al Festival di Sanremo. (Ranieri Polese, Corriere della sera, 9 febbraio 2008, p. 47).
Composto dal s. m. premio con l’aggiunta del confisso -poli2.
Già attestato nella Repubblica del 25 marzo 1990, p. 33, Televisione (Leandro Palestini); titolo del volume di Cinzia Tani, Premiopoli. Un indice ragionato dei premi letterari, Milano 1987.