preludio
prelùdio s. m. [dal lat. mediev. praeludium, der. del lat. praeludĕre: v. preludere]. – 1. In genere, parte introduttiva di una composizione musicale, anche per strumenti solisti, riferibile a qualsiasi genere, anche di tempi antichi. Nella storia della musica, l’uso del termine si precisa nei secoli 16° e 17° come brano introduttivo che s’accompagna, spesso con carattere d’improvvisazione, alle forme della suite, della fuga, della partita e della sonata per strumenti a tastiera o per liuto (per es., i p. e le fughe del «Clavicembalo ben temperato» di Bach) o, nella liturgia protestante, come brano organistico che introduce il corale. Con l’età romantica diventa componimento autonomo d’intonazione lirica, perdendo il carattere d’improvvisazione: sono quindi spesso raccolti in serie ordinate secondo principî varî (per es., i p. di Chopin, di Debussy). Nell’opera lirica, nell’oratorio, nella cantata o nella musica di scena svolge la funzione di introduzione sinfonica posta all’inizio dell’opera o di uno dei suoi atti, analogamente all’ouverture o alla sinfonia, ma senza essere dotato di una forma predeterminata: i p. delle opere di Verdi, di Wagner, ecc. 2. a. Per analogia, introduzione, esordio di uno scritto, di un componimento letterario, o, più spesso, anche in frasi di tono iron. o scherz., preambolo di un discorso, che anticipa e fa prevedere il seguito: il suo accattivante p. mi fece intuire che stava per chiedermi dei soldi. b. Fatto che costituisce l’inizio o il preannuncio di qualche cosa, i primi segni di un prossimo evento: l’arresto di molti oppositori del regime fu il p. della rivolta popolare; i contrasti in seno alla compagine governativa sono spesso il p. di una crisi; nessuno comprese che si trattava di un fausto presagio, del p. al rimpatrio (P. Levi).