portato
agg. e s. m. [part. pass. di portare]. – 1. agg. Ha in genere le varie accezioni del verbo, e conserva anche, in unione con l’ausiliare essere, la sua funzione verbale. Ha più propriam. valore di agg. con il sign. di indotto, disposto a fare qualcosa, o di incline per indole e disposizione naturale: non sembrava troppo p. ad accontentarmi; sei sempre p. a esagerare; essere o sentirsi p. per gli studî, per la musica, per la vita avventurosa (anche agli studî, ecc.). In musica, nella tecnica del violino e della viola, colpo d’arco che consiste nel portare il suono tra una nota e l’altra nella stessa arcata, senza tuttavia legarlo, mantenendo l’arco molto aderente alla corda. 2. s. m., letter. a. Il frutto della concezione (in quanto è portato dalla madre nel seno): quello ospizio [la grotta di Betlemme] Dove sponesti il tuo p. santo (Dante); morte di una donna fatta trucidare col suo p. dal corruttore (Leopardi). Anche con riferimento ad animali e, più raram., ai frutti della terra e delle piante. b. Con valore neutro, ciò che costituisce l’effetto, la conseguenza di qualche cosa: è questo, purtroppo, il p. dei tempi; il seicentismo fu l’ultimo p. d’una cultura e sapienza letterarie spinte al parossismo (A. Baldini).