polpa
pólpa s. f. [lat. pŭlpa, di origine incerta]. – 1. a. La parte carnosa del corpo umano e animale; nell’uso com. odierno, è frequente soprattutto con riferimento ad animali macellati, per indicare la carne (detta anche magro) senza ossa e senza grasso: p. di vitello, di manzo. Riferito al corpo umano, è più letter. di carne, per cui assume connotazioni particolari o si conserva in alcune locuz. e frasi tradizionali: un universo vale gli altri, e tutti insieme non valgono una bottiglia di vino vecchio e la p. fresca di una ragazza giovine (Bacchelli); essere in polpa, essere bene in polpa (o in polpe), essere bene in carne, ben nutrito, florido; mettere polpa, fare un po’ di polpa, cominciare un po’ a ingrassare. Nella lingua ant. e letter., è frequente l’uso del plur., spec. in unione con ossa (che indica invece la parte scheletrica che sostiene il corpo): la persona avea povera e tratta di cor, ma d’ossa e di gran polpe ricca (Ariosto); polpe delle mie p., espressione che si trova usata, spec. come vocativo affettuoso, con lo stesso sign. dell’odierno carne della mia carne; in partic., essere, o essere fatto d’ossa e di polpe, avere natura umana, o essere fisicamente in vita, frase divenuta quasi proverbiale, con questo secondo sign., per ricordo del verso dantesco Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe (Inf. XXVII, 73). b. Al plur., ant. o letter., i polpacci: la prima cosa che mi diede nell’occhio furon le p. colossali di certi preti che passavan tra la folla (De Amicis); con questo sign., è tuttora in uso, o perlomeno noto, nella locuz. aggettivale in polpe, per designare un abbigliamento di tipo settecentesco, con calzoni corti stretti al ginocchio, e calze aderenti, di solito bianche, che mettono in evidenza i polpacci, indossato da valletti e servitori come livrea in grandi occasioni: a mezzanotte giungevano in polpe i serventi per il ricambio delle candele (Bufalino); anche in espressioni non stereotipe: un signore di nobile aspetto, in abito di corte, calzoncini al ginocchio, p. scoperte, scarpini a fibbia (Gorresio). 2. In anatomia: a. P. dentaria o dentale, tessuto connettivale ricco di vasi e di nervi, che riempie la parte della cavità del dente detta camera della p., e che esercita una funzione di grande importanza nel trofismo del dente. b. P. bianca e p. rossa (o splenica), gli elementi caratteristici della milza, costituiti, il primo, dall’insieme dei noduli linfatici, e il secondo, che forma il tessuto proprio della milza, da un esilissimo reticolo connettivale e da numerose cellule libere (elementi linfoidi, istiociti, splenociti, emazie, piastrine, ecc.). 3. a. La parte tenera, spesso commestibile, dei frutti carnosi, di solito corrispondente al mesocarpo, ma talora con valore morfologico diverso. Anche, nell’uso com., la parte molle, succosa, di frutti ridotti in conserva, o, in farmacologia, il preparato di consistenza molle, costituito dalla parte carnosa di sostanze vegetali (foglie, frutta, ecc.), macerate in acqua fredda o calda, e passate attraverso stacci di crine o simili: p. di cassia, di tamarindo, di prugne. b. fig. La parte sostanziosa, succosa, valida, costruttiva di un discorso, di uno scritto, di un’opera: fa tante chiacchiere, ma di p. nei suoi discorsi ce n’è davvero poca. c. Al plur., i residui della lavorazione delle barbabietole per la fabbricazione dello zucchero, che contengono ancora una piccola quantità di zucchero; sono utilizzate come mangime per bestiame.