polilinguismo
s. m. Capacità di conoscere e parlare più lingue, di esprimersi in diversi modi; convivenza di più lingue all’interno di uno stesso ambiente sociale o culturale. ◆ Con un naso cyranesco, la pelata, i cernecchi e le sopracciglia degne di un celebre protagonista di Sergio Tofano, il barone Medusa, al secolo Paolo Poli, ha riversato sul pubblico del teatro Rasi un indimenticabile florilegio di facezie di Erik Satie mimate nell’ironico polilinguismo parodistico di cui il mattatore in veste di petulante gazza sparlante conosce a fondo segreti e trucchi. (Angelo Foletto, Repubblica, 3 luglio 1998, p. 44, Spettacoli) • Tra i numerosi interventi, quelli di Julia Kristeva, Umberto Eco, Paul Ricoeur, Jorge Semprun, Wole Soyinka, Jacques Attali. I temi variano dalle migrazioni dei Fenici alle diaspore antiche e moderne e al nomadismo, dalla geografia delle migrazioni agli obblighi della comunità internazionale agli inizi del Ventunesimo secolo. E, ancora, l’immigrazione negli Stati Uniti, la coscienza di essere emigrati, il Kosovo e le migrazioni balcaniche, il polilinguismo della scuola come mezzo per diventare cittadini in una società di meticciato, le soluzioni possibili per abitare nelle metropoli... (Corriere della sera, 8 giugno 2000, p. 33, Cultura) • «Poi c’è l’eredità classica, o l’abitudine, comune a ragazzi greci e svedesi, a doversi confrontare col polilinguismo. La mia generazione andava all’estero a vent’anni, quella dei miei figli prende l’aereo a quattro» [Umberto Eco intervistato da Francesca Paci]. (Stampa, 26 gennaio 2002, p. 23, Cultura e Spettacoli).
Composto dal confisso poli- aggiunto al s. m. linguismo, sul modello dell’ormai meno comune poliglottismo.
Già attestato nella Stampa del 30 settembre 1992, p. 15, Società e Cultura (Jean-Noël Schifano).