penitenza
penitènza (ant. penitènzia) s. f. [dal lat. paenitentia (o poenitentia), der. di paenitere «pentirsi»]. – 1. a. Pentimento, senso di rincrescimento per un errore fatto (o per una serie di errori), per una decisione presa, per un comportamento assunto o una condotta seguita, o, anche, rimorso per un male commesso, per un’offesa o un danno arrecati, e sim.: Dubbia speme davanti e breve gioia, Penitenzia e dolor dopo le spalle (Petrarca, parlando dell’amore); come ho fatto una resoluzione importante, mi accade spesso una certa quasi penitenza del partito che ho preso (Guicciardini). b. In senso specifico, sentimento di profondo dolore e rammarico per un’offesa recata alla divinità, o per atti proprî giudicati e sentiti come tali a causa delle conseguenze che ne derivano a singole persone o a una collettività: versare lacrime di p.; Signore, ... s’io n’offesi te, ben disconforto Ne sentii poscia e penitenza al core (T. Tasso). Nelle religioni antiche e primitive il concetto di penitenza è strettamente connesso con quello di peccato: potendo questo consistere in azioni di turbamento dell’ordine sacrale o della vita collettiva, oppure nella trasgressione di ordini divini, la penitenza ha in ogni caso il fine di ristabilire le condizioni precedenti alla colpa mediante pratiche di purificazione o di eliminazione della causa del peccato, oppure mediante riti penitenziali. Nella religione cristiana la dottrina della penitenza si è configurata variamente attraverso i secoli, in origine come p. pubblica (sia nella confessione sia nella soddisfazione), poi, dall’alto medioevo, come confessione privata o auricolare, fatta cioè segretamente all’orecchio del sacerdote, considerata sacramento dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa, mentre le Chiese protestanti ammettono soltanto la confessione pubblica generale, con carattere non sacramentale. Per la teologia cattolica la penitenza è un sacramento istituito da Gesù Cristo, che ha conferito alla Chiesa il potere di rimettere i peccati commessi dopo il battesimo: suoi elementi necessarî sono la contrizione, o pentimento delle proprie colpe da parte del penitente (contrizione è pentimento perfetto, mosso da puro amore, del peccato compiuto in quanto offesa recata a Dio, mentre pentimento imperfetto, ma sufficiente è l’attrizione, inferiore nella sua ispirazione alla contrizione, ma come essa soprannaturale), la sincera confessione dei peccati, la soddisfazione o adempimento di quanto il confessore (ministro del sacramento) impone come pena prima di impartire l’assoluzione: essendo la confessione la parte più apparente del sacramento di p., ne è venuto l’uso di chiamare impropriamente confessione tutto il sacramento (Manzoni); dire, rivelare al sacerdote in p. (oggi più com. in confessione); prendere penitenza, ant., confessarsi; tribunale di p., o della p., ant., il confessionale, o, anche, il confessore o altro organo cui era affidato in casi particolari di giudicare della gravità del peccato, concedere il perdono (ove non si trattasse di peccati irremissibili) e stabilire il castigo con cui espiare la colpa e meritare il perdono di Dio; senza penitenza, ant. o raro, senza essersi pentito oppure senza essersi confessato e avere quindi ricevuto l’assoluzione. c. La pena che il sacerdote cattolico assegna al penitente come parziale soddisfazione a Dio dei peccati commessi e confessati, oggi per lo più consistente in preghiere da recitare, o in opere devote, in atti di mortificazione e di rinuncia da compiere: dare una p. leggera, mite; per penitenza dandogli che egli ogni mattina dovesse udire una messa in Santa Croce (Boccaccio). d. Privazione o mortificazione che una persona, e spec. un religioso, un asceta, impone a sé stesso in espiazione delle proprie colpe o anche solo per esercizio di pietà: fare penitenza dei peccati commessi in gioventù; condurre vita di penitenza; eremiti che si ritiravano nel deserto a (o per) fare penitenza; essere macerato dai digiuni e dalle penitenze. Con sign. analogo, in denominazioni di ordini o congregazioni religiose che si propongono, tra altri fini, di condurre vita ascetica o contemplativa: monache, suore della p. (con ulteriori specificazioni, monache di s. Maria Maddalena della P., ecc.; e frati della p. furono chiamati in origine i frati francescani). Con uso generico: affrontare un sacrificio (o sim.) in penitenza dei proprî peccati; e in senso ampio, fare penitenza, espiare i proprî errori, ravvedersi, fare ammenda di una colpa, e sim.; prov., chi ha fatto il peccato, faccia la p., ne sconti le conseguenze. Per estens., le pene che soffrono le anime del purgatorio: e ancor non sarebbe Lo mio dover per penitenza scemo, Se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe Pier Pettinato in sue sante orazioni (Dante); più raram. riferito alle pene infernali: Se tu riguardi ben questa sentenza, E rechiti a la mente chi son quelli Che sù di fuor sostengon penitenza (Dante), gli incontinenti che sono puniti fuori della città di Dite. e. Le privazioni alle quali la Chiesa invita i fedeli in determinate occasioni (giorni di penitenza), consistenti tra l’altro nell’osservare il digiuno o l’astinenza; di qui l’uso scherz., spec. in passato, in frasi con cui si invita qualcuno a consumare un pasto insieme, volendo modestamente significare ch’esso sarà frugale: vuol venire stasera a fare p. con noi, o a casa nostra?; vogliamo fare p. insieme?; mi faranno l’onore di un po’ di p. nella mia rustica casetta (Capuana). 2. Pena, punizione, ma senza attinenza con le accezioni più strettamente morali e religiose del termine. In partic.: a. Punizione che i genitori danno talora ai figli che si sono comportati male: oggi per p. non guarderai la televisione; in passato, castigo che i maestri infliggevano agli scolari negligenti o indisciplinati: il maestro l’ha tenuto in p. dietro la lavagna; la maestra per p. le ha dato da ricopiare tre volte sul quaderno la tabellina del sette. b. In giochi di bambini o di società, prova di abilità o compito piuttosto ingrato e ridicolo, cui sono sottoposti coloro che hanno sbagliato nell’esecuzione del gioco o non sono riusciti nell’intento stabilito: tu, per p., andrai a chiedere a quel signore perché si lascia crescere i baffi. c. Nel gioco del biliardo, i quattro punti segnati sul piano, due al centro di ognuno dei due quadrati in cui si può pensare diviso il piano e gli altri due, lungo l’ideale linea congiungente i primi, vicino alle due sponde corte; servivano, prima dell’attuale regolamento, per collocarvi una delle biglie e il pallino all’inizio della partita e, durante il gioco, quando il pallino cadeva in buca: mettere una palla in penitenza. 3. Patimento, afflizione, sofferenza, provocati da cause varie (disagi, malattie, ristrettezze economiche, o anche di natura psicologica): fare una vita di penitenza e di stenti; la morte ha posto fine alle sue p.; è una gran p. per me stare qui ad aspettare; e riferito alla causa che provoca la sofferenza: un treno che va avanti così lento è una vera p.; che p. per la madre un ragazzo così irrequieto! ◆ Dim. penitenzina, penitenzétta; spreg. penitenzùccia; pegg. penitenzàccia (tutti poco comuni).