peggiore
peggióre (ant. piggióre) agg. [lat. peior -oris, compar. di malus «cattivo»; cfr. peggio]. – 1. È il compar. di cattivo, molto più frequente del compar. regolare più cattivo, eccetto quando ci si vuol riferire a fondamentale malizia d’animo (è più cattivo che tu non creda; non c’è uomo di cuore più cattivo) o al comportamento più o meno indocile e irrequieto dei ragazzi (oggi sei stato più cattivo del solito). Può essere modificato da avverbî: un poco, assai, molto, infinitamente peggiore; preceduto dall’art. det. ha valore di superl. relativo: è la p. soluzione che potremmo adottare. Ha usi analoghi a quelli di migliore, indicando condizioni meno buone o meno favorevoli per quanto concerne le qualità morali o fisiche, l’indole, le abitudini: è una canaglia della p. specie; non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire (prov.); ha un carattere p. del tuo; oggi è d’umore p. del solito; questo è il peggior modo di educare i ragazzi; con riferimento alla capacità, alla bravura, alla rispondenza a un determinato scopo: se prima avevamo un cattivo cuoco, ora ne abbiamo uno p.; ha il difetto di credersi sempre il p. di tutti; è il p. della classe, l’alunno meno preparato o più indisciplinato; è il p. cliente che mi poteva capitare; questo è il metodo p. per giungere a una soluzione; e con riguardo al pregio, alla convenienza, all’opportunità e sim.: merce p. o di qualità p.; non potevi inventare una scusa p.; peggior momento non potevi trovare; nella p. delle ipotesi sarò da voi domani, nell’ipotesi meno favorevole. 2. Sostantivato, come superl. relativo: a. Riferito a persona, colui che, per qualche singolo aspetto o sotto ogni aspetto, è inferiore agli altri; soprattutto al plur.: i peggiori non devono essere imitati, ma biasimati. b. ant. Con valore neutro, sottintendendo un sostantivo: veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio (Petrarca), al peggior partito; egli, come avviene, forse venendo al p. del giuoco, levossi furioso (Sacchetti), al peggior momento del gioco, cioè quando si perde.