orbo
òrbo agg. [lat. ŏrbus «privo»]. – 1. Cieco, privo della vista; per lo più sostantivato: Lo mento a guisa d’orbo in su levava (Dante); Vommene in guisa d’orbo, senza luce (Petrarca); un povero o.; essere o. da un occhio, da tutt’e due gli occhi; spesso con i sign. estens. che ha guercio, di persona che ci vede poco, mezza cieca, miope, ecc.: sei o., che non lo vedi? È com. soprattutto la locuz. botte da orbi, colpi violenti, dati alla cieca. In senso fig., privo di senno, di giudizio, di discernimento: Vecchia fama nel mondo li chiama orbi (Dante, riferendo il giudizio espresso da B. Latini sui Fiorentini); Ahi orbo mondo, ingrato! (Petrarca). 2. letter. Privo, privato: Stette la spoglia immemore Orba di tanto spiro (Manzoni); in partic., privato di persona cara, soprattutto per opera della morte: orba del marito; o. del padre, dei figli; con uso assol.: misera fanciulla, orba, innocente (T. Tasso), orfana dei genitori; Ed orba madre, che doleasi in vano, Da un avel gli occhi al ciel lucente gira (Carducci). Per estens. (dal sign. di orfano): l’orba Itaca in vano Chiedea a Nettun la prole di Laerte (Parini), Itaca priva del suo re Ulisse; Orbo rimasi allor (Leopardi), mi sentii solo, abbandonato. ◆ Dim. orbétto, orbettino (per i sign. proprî, v. le voci); pegg. orbàccio.