orazione
orazióne s. f. [dal lat. oratio -onis (che significava «discorso» nel lat. class., «preghiera» nel lat. degli scrittori cristiani), der. di orare «parlare; pregare»]. – 1. Sinon. meno com. di preghiera: dire, recitare un’o., le o.; dissi sopra te l’orazïoni, E piansi (Pascoli); le o. del mattino, della sera; o. domenicale, cioè «del Signore», il Pater noster, così detto perché insegnato da Gesù ai suoi discepoli; raccomandarsi alle o. di qualcuno; ricordare qualcuno nelle proprie o.; libri d’orazione, i varî libri di pietà. Nella teologia cattolica, si distingue l’o. mentale, elevazione della mente a Dio, ma solo interiore, dall’o. vocale, cioè la preghiera vera e propria, che si esprime esteriormente con parole. Nel linguaggio com., volendo alludere all’orazione mentale, si usa per lo più il singolare collettivo, senza articolo: essere, stare in orazione; passare la notte in orazione; stando in questa divota o., fu rapito in estasi (Fior. di s. Franc.). Nella liturgia, ogni formula di preghiera con la quale il ministro si rivolge a Dio in nome dei fedeli; in partic., le preghiere che si recitano nella colletta. 2. Discorso di tono solenne, tenuto in pubblico o in un’adunanza, oppure scritto a tale scopo, anche come esercitazione retorica; soprattutto con riferimento all’epoca classica: le o. di Lisia, di Demostene, di Cicerone. Con riferimento a tempi moderni è com. solo in qualche locuz.: o. funebre, discorso in onore di un defunto; o. sacra, predica solenne. Con senso più generico, è di uso letter. ant.: Li miei compagni fec’io sì aguti, Con questa orazion picciola, al cammino, Che a pena poscia li avrei ritenuti (Dante). ◆ Dim. orazioncina, orazioncèlla.