opaco
agg. [dal lat. opacus] (pl. m. -chi). – 1. Di corpo che non si lascia attraversare dalla luce, cioè di corpo che, rinviando o assorbendo totalmente la luce che riceve, ha coefficiente di trasparenza nullo (è contrario quindi di trasparente); l’opacità di un corpo può riferirsi a tutte le radiazioni luminose, e più in generale elettromagnetiche, o soltanto a quelle di determinate frequenze, o anche a certe radiazioni corpuscolari: il piombo è o. ai raggi X; un rivestimento o. alle radiazioni termiche; una lastra di alluminio opaca alle particelle alfa; in medicina, pasto o., lo stesso che pasto radiologico (v. pasto2, n. 2 b), così detto in quanto opaco ai raggi X. 2. Usi estens.: a. Che riflette la luce solo in modo diffuso, a causa della scabrosità della sua superficie (contrario di lucido): marmo o.; carta o.; filato, raion o.; metallo, argento, oro o., che ha perso la sua lucentezza; colori o., tinte o., non brillanti. b. poet. Oscuro, buio, non illuminato: Cercando or questo et or quel loco o. (Ariosto); Già declinava il sole, e crescean l’ombre De’ monti opachi (Caro); l’o. tomba e il fato estremo (Leopardi); sul loro capo era l’o. notte Piena di stelle (Pascoli). O anche ombroso: dietro ad un’opaca Rupe il cocchio lasciava (Foscolo); del comun la rustica virtù Accampata a l’o. ampia frescura (Carducci). c. Nell’analisi del discorso, con partic. riferimento alla comunicazione, detto di parola o frase nella quale, incidentalmente o volutamente (per es. nel linguaggio della poesia), il rapporto con il concetto designato non è immediatamente comprensibile. 3. fig. Voce o., non squillante, dai toni bassi e smorzati; suono o., velato; uno sguardo o., smorto, quasi privo di espressione; intelligenza o., priva di vivacità. Nel linguaggio sportivo, prova, gara o., al di sotto delle possibilità (di un atleta, di una squadra); più genericam., di scarso rilievo. ◆ Avv. opacaménte, quasi soltanto in senso fig., senza vivacità o espressività, ottusamente: guardare, fissare opacamente; resta lì, di nuovo assorto, opacamente, in quella sua singolare attesa (Pirandello).