oltraggio
oltràggio s. m. [dal fr. ant. oltrage, ultrage (mod. outrage), der. di oltra, ultra (mod. outre) «oltre»: propr. «cosa che va oltre il tollerabile»]. – 1. ant. Il fatto di superare un limite; eccesso: Da quinci innanzi il mio veder fu maggio Che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, E cede la memoria a tanto oltraggio (Dante); mangiare, bere a o., fuor di misura, smoderatamente. 2. a. Offesa grave all’onore, alla dignità, al prestigio di una persona (o di un’istituzione), con atti o con parole: fare, recare oltraggio; colpa d’Atride, Che fece a Crise sacerdote oltraggio (V. Monti); ricevere, patire, subire un o.; vendicare, riparare un o.; chiedere soddisfazione di un o.; un o. grave, sanguinoso, vile; Vergin di servo encomio E di codardo o. (Manzoni); fare oltraggio a una donna, violarla, farle violenza (e analogam., riferito alla donna, subire, patire oltraggio). Nel diritto, l’o. a pubblico ufficiale, consistente nell’offendere l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, fino al 1999 ha costituito reato; oggi le offese a pubblico ufficiale rientrano nel delitto di ingiuria aggravata. Con senso attenuato, non com., sopruso, torto, ingiustizia: nessun m’è fatto oltraggio, Se quei che leva quando e cui li piace, Più volte m’ha negato esto passaggio (Dante). b. In senso estens. e fig., atto, comportamento o espressione con cui si viola un diritto umano, un principio etico, o comunque una norma comunemente accettata: è un o. alla giustizia, alla verità, al senso di umanità; il suo lusso smodato è un o. alla miseria; quello che dici è un o. al buon senso. In partic., o. al pudore, locuz. correntemente usata per offesa al pudore (v. pudore). c. Nell’uso letter., danno, guasto: la sua bellezza ha subìto gli o. del tempo; poi che il sole O il ghiaccio a le campagne ha fatto oltraggio (Bembo).