offuscare
v. tr. [dal lat. tardo offuscare, der. di fuscus «fosco, nero» col pref. ob-] (io offusco, tu offuschi, ecc.). – 1. Rendere fosco, oscurare, privare della lucentezza o della trasparenza: grosse nuvole offuscavano il cielo; la nebbia ha offuscato l’aria; la luna offusca lo splendore delle stelle vicine; non com., o. un lume, una lampada, attenuarne l’intensità luminosa con qualche riparo. Anche nella forma intr. pron., farsi, diventare fosco: il cielo si è offuscato; l’aria si sta offuscando. 2. estens. e fig. a. Oscurare, provocare una diminuzione, uno scadimento, una perdita di qualità: offuscò con la sua fama la gloria di tutti i contemporanei; la sua memoria non sarà offuscata dal passare del tempo; chi di gloria troppa È carco già, deh! non la offuschi (Alfieri); come intr. pron.: la sua immagine si è già offuscata nel mio ricordo. b. Con riferimento agli occhi (e, in senso fig., alle facoltà della mente), velarli in modo da rendere confusa la visione delle cose (cfr. il più com. annebbiare): il fumo mi offuscava la vista; il vino gli aveva offuscato il cervello; l’ira ... gli occhi della mente avendo di tenebre offuscati, inferventissimo furore accende l’anima nostra (Boccaccio); offuscavagli la grande Ira il cor gonfio (V. Monti); nella forma intr. pron.: gli si offuscò la vista, la mente, il cervello. ◆ Part. pass. offuscato: una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione (Manzoni); anche come agg.: Lesse quelle righe tremando, con la vista offuscata (De Roberto).