odio. Finestra di approfondimento
Sfumature d’odio - Vari nomi vengono dati ai sentimenti negativi che si nutrono verso qualcuno o qualcosa. Tra questi, o. è il termine più generale e com., impiegato talora iperb. per intendere in realtà un semplice non-amore, o un’antipatia (ti ho già spiegato il mio o. per la televisione), altre volte usato in modo assol. (molto più spesso dei suoi sinon., che preferibilmente richiedono di specificare l’ogg. dell’odio, e così come il suo esatto contr., amore): l’o. è solitario; l’amore è simpatia e armonia (F. De Sanctis). Più spesso di molti suoi sinon., inoltre, odio ha come ogg. una persona (piuttosto che una cosa) o alcune sue caratteristiche fisiche, morali o comportamentali. Avversione è il sinon. più vicino a o., anche se, rispetto a quest’ultimo, sottolinea spesso il senso di allontanamento, di fastidio, di forte incompatibilità: mi scusai raccontandogli dell’avversione di mio padre per medici e medicine (I. Svevo). Simili ad avversione, ma più intens., sono disgusto, repulsione e ripugnanza: donna Eugenia, nell’amarezza dell’animo suo, nel suo disgusto del luogo, e delle persone, s’attaccò a lui come al solo degno (A. Fogazzaro); provava contro di lei un senso istintivo di repulsione (G. D’Annunzio); ella guardava le persone con ripugnanza (F. Tozzi). Un sinon. più fam. di disgusto è l’assai com. schifo, a indicare qualcosa o qualcuno (propriamente un odore o un sapore, ma estensivamente anche una persona, una situazione e altro) da cui ci si ritragga con un senso quasi di nausea: appallottò con impeto di schifo il foglio e lo scagliò dalla vettura (L. Pirandello).
Odio verso le persone - Disdegno e disprezzo, il primo più formale del secondo, designano sentimenti provati soltanto per le persone o per alcune loro caratteristiche, con implicito riferimento, di solito, a un giudizio morale fortemente negativo oppure a un senso di distaccata (talora arrogante) superiorità nei confronti della persona disprezzata: Guido rifiutò il mio consiglio addirittura con disdegno (I. Svevo); Bruno parla con disprezzo dantesco del volgo (F. De Sanctis). Più formale è sdegno, che però s’avvicina più all’ira che al giudizio morale o al senso di superiorità: Marta fremeva di sdegno e di rabbia (L. Pirandello). Esecrazione, d’uso prevalentemente lett., è appropriato per lo più per sentimenti di forte critica nei confronti di comportamenti giudicati molto negativamente, e ha dunque un sign. intermedio tra quello di o. e quello di biasimo, condanna, riprovazione e sim.: l’innominato raccontò brevemente, ma con parole d’esecrazione anche più forti di quelle che abbiamo adoperato noi, la prepotenza fatta a Lucia (A. Manzoni). Astio e risentimento, anch’essi riferiti soltanto a persone, sottintendono un sentimento aspro motivato da torti subiti in precedenza: astiò il figlio del padrone, con quell’astio istintivo e cattivo, che hanno quelli costretti a ubbidire (F. Tozzi); cercò di nascondere, come dentro a una maschera, il cupo risentimento dell’animo offeso (E. De Marchi). Livore, termine formale, indica un tipo d’odio rabbioso e a stento represso: esageravo gli atti di cortesia perché non indovinasse il mio livore (I. Svevo).
Provare odio - I sinon. di odiare sono tutti più marcati, per grado o registro. Aborrire e detestare, il primo più formale del secondo, esprimono un sentimento ancora più intenso dell’odio: aborro la caccia (I. Svevo); il Balli detestava tutto ciò che ignorava (I. Svevo). Disdegnare, disprezzare, il formale sdegnare e il lett. esecrare, al pari dei sost. ai quali sono etimologicamente legati, indicano per lo più un severo giudizio morale o un senso di forte distacco o superiorità, oppure una sorta di rabbia. Tuttavia i primi due verbi, rispetto ai sost. relativi, sono spesso riferiti anche a cose e possono indicare un generico non amare, soprattutto in espressioni colloquiali con uso di litote con valore di «non trovare sgradito», «non provare dispiacere», o addirittura «apprezzare, gradire, desiderare» e sim.: non disdegnerei un bel piatto di pasta, a quest’ora (ovvero non mi dispiacerebbe, desidero fortemente e sim.); la sua offerta non mi sembra da disprezzare. Sinon. molto più formali di disprezzare sono abominare, disistimare, dispregiare, spregiare e sprezzare: sovvenitevi che l’Alfieri sprezzava altamente gli ingiusti o maligni giudizi di chicchessia (P. Borsieri). Schifare è d’uso più com., talora anche fam.: Alessandro Magno schifò quel (consiglio) d’Aristotile, che volea ch’egli trattasse i greci da parenti, e i Barbari da bestie (G. Leopardi).
Suscitare odio - Chi, o ciò che, suscita odio viene detto, nel modo più com., odioso, agg. che è riferito quasi esclusivamente a persone o ad azioni, comportamenti e sim., ma non ad oggetti, a differenza di odiare: posso odiare le sigarette, ma difficilmente direi di una sigaretta che è odiosa, bensì che è schifosa, disgustosa e sim. Un enunciato come le sigarette mi sono odiose, ancorché possibile, suonerebbe molto formale, in luogo di un più com. non mi piacciono le sigarette, odio le sigarette e sim. Se il sentimento è ancora più forte, e per lo più connesso con un giudizio morale, si dirà detestabile, insopportabile o, più formalmente, abominevole. Il secondo termine è di solito meno marcato degli altri due, indicando non necessariamente un giudizio morale ma semplicemente un forte senso di fastidio (ma più del semplice fastidioso): voi mi trovate insopportabile? (C. Goldoni); quello che hai fatto è abominevole. Per un grado ulteriore di avversione, sono disponibili i termini disgustoso, schifoso (che è l’agg. più com. e fam. della serie) o, ancora più intens., nauseante, repellente, ributtante, ripugnante, rivoltante, stomachevole, vomitevole, i quali, nonostante l’etimologia connessa con le funzioni digestive e sim., si riferiscono spesso, soprattutto nell’uso fam., non soltanto a cibi, odori o sapori, ma anche a persone, opere d’arte, discorsi, oggetti e altro: hai coraggio solo per mentire, sbirro schifoso? (F. De Roberto); una razza stomachevole di farabutti (G. C. Chelli). Spregevole e i formali esecrabile ed esecrando sono quasi sempre legati, come i termini già incontrati con la stessa radice, a una negativa valutazione morale nei confronti di ciò che merita biasimo, e valgono dunque condannabile, criticabile e sim.: che la tirannide sia un governo esecrabile e vizioso in sé stesso, già ben lo sapevano tutti coloro che stupidi affatto non sono (V. Alfieri). In più spregevole, al pari dei già commentati disdegnare e disprezzare, può anche comparire in litoti per indicare, in realtà, qualcosa di apprezzabile, indipendentemente dalla sfera morale: ottenere a ventisei anni un posto di segretario in un ramo così importante e nuovo della pubblica amministrazione, com’erano allora le Finanze, non fu piccola né spregevole fortuna (I. Nievo).