occhio
òcchio s. m. [lat. ŏcŭlus]. – 1. a. In anatomia, organo di senso, pari, caratteristico dei vertebrati, che ha la funzione di ricevere gli stimoli luminosi e di trasmetterli ai centri nervosi dando origine alle sensazioni visive; è costituito dal bulbo oculare, sferoidale ed elastico, le cui pareti sono formate da tre membrane sovrapposte e concentriche: una esterna, fibrosa (costituita dalla cornea e dalla sclerotica), una intermedia (che comprende la coroide, il corpo ciliare e l’iride, al cui centro si trova un foro detto pupilla) e una interna (retina) a funzione fotorecettrice; lo spazio interno del bulbo è prevalentemente occupato da mezzi trasparenti e rifrangenti, liquidi (umore acqueo), semifluidi (corpo vitreo) e solidi (cristallino, a forma di lente biconvessa, organo dell’accomodazione). Dal punto di vista ottico, l’occhio fisiologicamente sano (o. normale o emmetrope) è un sistema diottrico e corretto il cui secondo fuoco cade sulla retina, atto cioè a formare esattamente su quest’ultima l’immagine stigmatica, ortoscopica, acromatica di un oggetto luminoso posto all’infinito; la distribuzione sulla retina dei fotorecettori è irregolare, nel senso che la massima densità di essi si ha nella fovea (o macula lutea), piccola zona centrale del diametro di 0,3 mm. In condizioni anormali (per alterato potere convergente dei mezzi rifrangenti o per abnormi dimensioni del diametro anteroposteriore dell’occhio) i raggi luminosi paralleli provenienti da un oggetto all’infinito possono formare il loro fuoco al di là della retina (ipermetropia), o davanti a essa (miopia); il difetto di rifrazione (ametropia) di un tale o. ametropico, valutato con adatti mezzi diagnostici, si corregge mediante opportune lenti aggiuntive, applicate a contatto della cornea (lenti a contatto o corneali) oppure sostenute da apposite montature (occhiali correttivi). Nell’occhio normale, l’angolo di campo corrispondente alla visione distinta, cioè corrispondente al formarsi dell’immagine sulla fovea (dove è massima la risoluzione di fotorivelazione), è solo di circa 1′, ma la mobilità del bulbo oculare nell’orbita consente la visione distinta entro un angolo di circa 70°; l’angolo di campo complessivo della visione indistinta (comprendente le zone laterali e marginali, nelle quali, come si dice popolarmente, si vede «con la coda dell’occhio») è di circa 160°. b. In zoologia, il termine indica genericam. le strutture sensoriali (ocelli, macchie oculari, ecc.), più o meno complesse e presenti in numero variabile (fino a otto nei ragni), che consentono la ricezione di stimoli luminosi; più specificamente, struttura fotorecettrice che consente la formazione di un’immagine: è tale, oltre all’occhio dei vertebrati e dei cefalopodi, anche l’o. composto degli artropodi, formato da un numero variabile (fino a oltre 20.000) di o. semplici o ommatidî, ognuno dei quali, registrando indipendentemente parte della luce riflessa da un oggetto, concorre alla formazione di un’immagine a mosaico, somma delle immagini parziali. Per i cosiddetti o. periscopico e o. telescopico, v. rispettivam. periscopico e telescopico. c. In anatomia comparata, o. parietale, o o. pineale, o o. mediano, vescicola che si trova sul tetto del diencefalo dei vertebrati (con diverso sviluppo nelle varie classi), la cui funzione, tuttora dubbia, è probabilmente legata alla capacità di recepire le differenze tra luce e oscurità; in molti rettili predatori tale struttura è sensibile anche all’infrarosso e consente quindi la localizzazione di animali a sangue caldo tramite le radiazioni da essi emesse. 2. Fraseologia e locuzioni: a. In senso proprio, l’o. destro, l’o. sinistro; la mitologia greca immaginava i ciclopi con un o. solo in mezzo alla fronte; essere privo, orbo, cieco di un o. (e intendendo la facoltà stessa della vista, esser privo degli o.); cavare gli o., accecare (in senso iperb., gli caverei gli o., per esprimere genericam. rabbia, irritazione, desiderio di vendetta; si caverebbero gli occhi se potessero, di due persone che si odiano o che sono comunque invise l’una all’altra); spalancare, sbarrare, sgranare, stralunare gli o.; far tanto d’occhi, spalancarli (per attonita meraviglia, per avidità, per minacciare, ecc.); fregarsi, stropicciarsi gli o. (per scacciare il sonno, o come gesto per assicurarsi di veder bene, di essere sveglio, di non sognare); dove hai gli o.?, non hai gli o.?, a chi non vede ciò che dovrebbe vedere; avere gli o. fuori dell’orbita, fuori della testa, schizzare fiamme dagli o. e sim., espressioni iperb. che indicano uno stato di violenta collera, di furore; avere, tenere, mettere qualche cosa davanti agli o., vicino a essi o in genere dinanzi alla persona, dinanzi a sé; me lo vedo sempre davanti agli o., con riferimento a persona lontana o morta la cui immagine rimanga fissa nel pensiero, o a un fatto rimasto profondamente impresso; guardarsi negli o., fissarsi reciprocamente (guardami negli o.!, per accertarsi se qualcuno mente); evitare gli o., o d’incontrare gli o., di qualcuno, sfuggirne lo sguardo; battere gli o., sbattere le palpebre (lo fissava senza batter occhio, con lo sguardo immobile); fare cenno, accennare con l’o.; strizzare l’o., ammiccare con aria d’intesa. Riguardo alla forma, al colore, all’espressione: o. belli, brutti; due o. bellissimi; un paio d’o. magnifici (con ammirazione: che occhi!); o. grandi, piccoli, tondi, a mandorla; Solcata ho fronte, o. incavati intenti (Foscolo); o. chiari, scuri, neri, nerissimi, castani, azzurri, celesti, grigi, verdi (poet. color del cielo, color del mare); o. lucenti, scintillanti, sfavillanti; Lucevan li o. suoi più che la stella (Dante); con similitudini: o. di civetta, di barbagianni, tondi e dallo sguardo fisso; o. di bove o bovini, grandi e sporgenti; o. porcini, piccoli in un viso grasso; occhi di gatto, d’un verde grigio chiaro. Inoltre: o. lucidi, lustri, per commozione; o. accesi, per febbre o altro; o. rossi, per infiammazione o per aver pianto; Caron dimonio, con occhi di bragia (Dante), ardenti per l’ira; o. iniettati di sangue; o. abbacinati, abbagliati, per luce troppo viva che li abbia colpiti; avere gli o. stanchi, affaticati, gonfî, velati; o. pesti, circondati da occhiaie per stanchezza, abusi, o per un pugno ricevuto (con quest’ultimo senso: gli ha fatto un o. pesto); o. spenti, senza sguardo, resi inespressivi dalla vicinanza della morte o da grave prostrazione. Indicando difetti o malattie: o. storti, strabici, guerci, miopi, presbiti; o. cisposi. Quasi sempre al sing. quando si fa riferimento non all’organo in sé ma alle facoltà dello spirito che dalla vista sono più direttamente impressionate: uno spettacolo che appaga, soddisfa, contenta, riposa, rallegra l’o.; fare l’o. a qualche cosa, abituarcisi; modo prov., anche l’o. vuole la sua parte, anche l’aspetto, l’apparenza delle cose ha la sua importanza; al sing. o al plur. nella locuz. rifarsi l’o., o rifarsi gli o., ricrearli vedendo qualcosa di bello, spec. se viene dopo una serie di cose (o persone) brutte (cfr. l’analoga espressione rifarsi la bocca). b. Locuz. relative agli occhi in quanto fonte di lacrime, di pianto: gli vennero, gli spuntarono le lacrime agli o.; gli si inumidirono gli o.; gli o. gli si velarono di lacrime; pregare, supplicare con le lacrime agli o.; asciugarsi gli o.; gli o. non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante (Manzoni); non ha più o. per piangere, di chi ha pianto e sofferto molto; non ha più (o non gli sono rimasti) che gli o. per piangere, di chi ha perso tutto, di chi è rimasto senza alcun conforto. c. Locuz. formate con i verbi aprire e chiudere (che più propriam. si riferiscono alle palpebre): aprire gli o., in senso proprio, sollevare le palpebre; per estens., svegliarsi (e aprire gli o. alla luce, alla vita, nascere); fig., rendersi conto della realtà, di fatti che prima sfuggivano, disilludersi; aprire gli o. alla verità, al bello, acquistare la conoscenza della verità o il sentimento del bello; aprire gli o. a qualcuno, rivelargli la realtà dei fatti, toglierlo da un’illusione, disingannarlo, o renderlo accorto (con soggetto di persona: sono stato io ad aprirgli gli o.); i micini hanno aperto gli o., modo pop. per dire che una persona, spec. giovane, è diventata meno ingenua, più accorta o più smaliziata; in frasi di esortazione, come apri gli o.!, tenete gli o. bene aperti, e sim., significa stare vigili, fare attenzione; non riuscire a tenere gli o. aperti, avere molto sonno; dormire a o. aperti, fig., vigilare pur facendo finta di nulla (o anche, cadere dal sonno); sognare a o. aperti, immaginare cose irrealizzabili, o in genere fantasticare, fare castelli in aria. Analogam.: chiudere gli o., in senso proprio, abbassare le palpebre; per estens., addormentarsi, oppure morire, spirare (chiuse serenamente, cristianamente gli o.); gli si chiudevano gli o., per il gran sonno; non ho chiuso occhio tutta la notte, non ho potuto prendere sonno, non sono riuscito a dormire (per insonnia o per altro impedimento); fermato così un poco l’animo a una deliberazione, poté finalmente chiuder occhio (Manzoni); chiudere gli o. a qualcuno, assisterlo negli ultimi istanti; fig., chiudere un o., lasciar passare inosservata un’azione che si dovrebbe impedire o punire, rendendosi così complice di un atto disonesto o biasimevole (anche, più semplicem., mostrare indulgenza): doveva chiudere un o., mandarla giù, e stare zitto (Manzoni); e in tono scherz., riferendosi a persona troppo compiacente: chiude volentieri un o., e anche tutti e due; a o. chiusi, senza riflettere, senza prendere le debite precauzioni, oppure con piena e cieca fiducia: non sono cose che si possono fare così, a o. chiusi; puoi comprare da lui a o. chiusi, è un uomo onesto. 3. a. Con riferimento diretto o indiretto all’atto del guardare, al movimento o alla direzione dello sguardo: stare con gli o. bassi, con gli o. chinati a terra (soprattutto per modestia, timidezza, pudore, vergogna); abbassare gli o., per evitare lo sguardo altrui, per confusione, perché ci si sente colpevoli (per motivi analoghi: non osava alzare gli o.); alzare gli o. dal libro, dal lavoro; alzare gli o. al cielo, nella preghiera, o anche per esprimere impazienza, per ira repressa, e sim.; volgere gli o. a qualcuno, a qualche cosa, rivolgere l’attenzione; volgere gli o. altrove, distogliere lo sguardo; assol., a me gli o.!, frase imperativa di chi chiede attenzione (è anche frase consueta degli ipnotizzatori); cadere, capitare sotto gli o. (o sott’occhio), correre agli o., di cosa che si offre improvvisamente allo sguardo; balzare, saltare agli o. (calco del fr. sauter aux yeux), di cosa ben visibile, che non si può fare a meno di vedere, e non può quindi non risultare evidente o attrarre l’attenzione; cercare con gli o.; aguzzare gli o., o lo sguardo o la vista, sforzarsi di vedere; piantare, ficcare gli o. addosso a qualcuno, guardarlo con intensità quasi aggressiva; stare continuamente con gli o. addosso a qualcuno, non levare un momento gli o. di dosso a qualcuno, fissare una persona con insistenza o in modo continuo, o anche con sospetto o diffidenza, per controllarne i movimenti; non riuscire a staccare gli o., da persona o cosa che eserciti forte attrazione, che ispiri ammirazione o desiderio (con sign. affine, lasciare gli o. su qualche cosa, quando si desidera vivamente senza poterla ottenere); fig., mettere gli o. addosso, a persona o cosa, farla oggetto del proprio desiderio; essere tutt’occhi, tutto intento a fissare, tutto concentrato in ciò che si vede (più propriam., esser molto magro e incavato in faccia, per cui gli occhi appaiono più grandi: dopo la malattia è diventato, si è ridotto tutt’occhi); mangiare, divorare con gli o., fig., guardare con grande affetto o desiderio (talora anche con sguardo di rabbia impotente); recitare con gli o. nei palchi, nel gergo teatrale, di attore che dimostra un’assoluta sicurezza nella parte che gli è affidata. Sempre con il sign. di sguardo: lontano dagli o. dei curiosi, dei profani, da o. indiscreti, e sim. In alcune locuz. è usato di preferenza il sing.: una grande distesa di campi, in cui l’o. spazia liberamente; l’o. è attirato, rifugge da un dato oggetto; afferrare con l’o.; seguire, accompagnare, andare dietro (o tenere dietro) con l’o.; scorrere con l’o., passare rapidamente e sommariamente con lo sguardo su uno scritto o sim.; posare, gettare l’o. su qualche cosa, rivolgervi e fermarvi lo sguardo; correre con l’o. a qualche cosa, per esprimere la rapidità con cui lo sguardo è attirato (analogam., con altra costruzione: l’o. mi corse alle sue mani, ecc.); avere, tenere sott’o., vicino, a portata di vista, o anche sotto il proprio controllo, sotto la propria vigilanza; appena si volta l’o., appena si cessa per un istante la vigilanza diretta. b. In molti casi, spec. quando la parola è accompagnata da aggettivi o altre determinazioni, indica lo sguardo in una sua particolare modalità: sostenere con o. fermo il confronto; ascoltare i rimproveri con o. impassibile; Con o. chiaro e con affetto puro (Dante), qui in senso fig., con la mente illuminata dalla fede; guardare, spiare, sbirciare con la coda dell’o., di lato, senza voltare la testa, facendo finta di niente; guardare (di) sott’occhio o (di) sott’occhi, poco com. per guardare di sottecchi (v.): rallentavano il passo, e guardavan sott’occhio nella stanza (Manzoni). Più comunem., lo sguardo in quanto espressione di un atteggiamento o di una condizione dell’animo: accogliere con o. ridenti, sorridenti; aveva un paio d’o. spauriti, smarriti, spaventati, attoniti; guardare con o. paterni, materni, fraterni; con o. benevoli, pietosi, compassionevoli, amorosi, amichevoli, supplichevoli, ansiosi; sentì gli o. vivissimi della madre che la fissavano più penetranti e più vividi del solito (Clara Sereni); con o. indagatori, scrutatori, sospettosi, gelosi, minacciosi, invidiosi; con o. bramosi, avidi, concupiscenti, ecc. (in tutti questi casi, oltre al plur., è spesso adoperato il sing. collettivo); fare gli o. feroci; fare l’o. pio, gli o. dolci, gli o. di triglia, gli o. di tortora, guardare con espressione languidamente amorosa; faceva certi occhi!, per indicare espressioni varie (invocazione di pietà, paura, furore, minaccia, ecc.); fig., vedere di buon o., di mal o. (o di cattivo o.), con affetto, con compiacenza, o al contrario malvolentieri, con disamore, con antipatia. In altri casi, lo sguardo in quanto manifestazione di sentimenti non momentanei ma abituali della persona, o segno rivelatore dell’animo, del carattere, delle qualità spirituali e intellettuali: o. buoni, cattivi; o. puri, innocenti, limpidi, schietti, sinceri; o. lieti, tristi, mesti; o. falsi, bugiardi; o. penetranti, intelligenti, furbi; o. vivaci, smorti; o. grifagni; o. irrequieti, torbidi; o. assassini (di seduttore o di seduttrice); fam., occhi di pesce lesso, chiari e inespressivi. Con alcuni di questi agg., è frequente anche il sing.: avere l’o. limpido, acuto, penetrante, intelligente, vivace, ecc. c. Spesso, pur mantenendo alla parola il sign. proprio, si vuol rilevare ciò che nello sguardo si riflette delle condizioni spirituali: Ne li o. porta la mia donna Amore (Dante); la gioia gli traspariva dagli o.; i suoi o. brillavano di felicità; col sorriso, col pianto negli o.; aveva ancora il terrore negli o.; gli balenò negli o. un lampo sinistro; leggere negli o., penetrare, attraverso l’espressione dello sguardo, nell’animo d’una persona o più semplicem. capire dall’espressione dello sguardo (gli si leggeva negli o. la paura; gli si legge negli o. la bugia, la colpa, la viltà, ecc.); parlare, interrogare, rispondere con gli o.; incenerire con gli o., annientare con uno sguardo di minaccia, di rimprovero, di disprezzo; prov., gli o. sono la finestra (anche, lo specchio) dell’anima. 4. Con riferimento alla vista, cioè al fatto di vedere: sotto gli o., in presenza d’una persona (in modo che essa possa vedere): voglio che tu scriva sotto i miei o.; cose che avvengono purtroppo sotto i nostri o.; è stato travolto dalla vettura sotto gli o. esterrefatti dei passanti; gli ha scambiato la valigia proprio sotto i suoi o.; al contrario, lontano dagli o. (più raro fuori dagli o.), lontano dalla persona, in modo da non essere da questa veduto: se vuoi farlo, fallo almeno lontano dai miei o.; prov., lontan dagli o. lontan dal cuore, la lontananza fa venir meno l’affetto. Più frequente per indicare la vista come capacità e potenza visiva: fin dove l’o. può giungere, fin dove si può arrivare con la vista; con lo stesso senso, a perdita d’occhio, soprattutto per indicare grande estensione di terra o di mare (l’oceano si estende, la strada si prolunga a perdita d’o.; pianure immense a perdita d’o.); avere l’o. fine, acuto; occhi di lince, di falco, d’aquila, acutissimi; affaticare, stancare, logorare, consumare gli o.; perdere gli o., diventare cieco; perdere gli o. su un lavoro, stancarli lavorando, in modo da diminuire la potenza visiva: non avere più occhi, avere la vista assai indebolita; non avere né occhi né orecchie, non guardare e non ascoltare (è un uomo che non ha né occhi né orecchie, una persona fidatissima e discreta che, anche vedendo e sentendo ciò che avviene intorno a lei, è come se non avesse veduto né udito nulla); a occhio, col solo aiuto della vista, senza strumenti di misura: giudicare, calcolare a o.; a o., potranno essere circa otto metri (con lo stesso sign., a occhio e croce); a o. nudo, senza l’ausilio di alcuno strumento ottico che avvicini o ingrandisca gli oggetti. 5. fig. a. Capacità, acquistata in genere con l’esperienza, di distinguere, di capire, d’intuire, di giudicare con la vista: al suo o. esperto nulla sfugge; io ormai ho l’o. a queste cose; o. clinico (v. clinico); fare l’o. a qualche cosa, assuefare la vista a vedere e a saper ben giudicare; avere, non avere occhio, soprattutto con riguardo alla capacità di misurare le distanze, di calcolare una misura: non hai o., che diamine!, questi saranno almeno due chili; ci vuole occhio!; che occhio!, a chi mostra d’aver buona mira. b. Attenzione che si esercita con la vista, soprattutto nell’esclam. occhio!, con cui si richiama l’attenzione di qualcuno o lo si mette in guardia contro un pericolo (equivale quindi a bada!, badate!): o., che sta per arrivare il treno!; o. alle curve! Ha lo stesso sign. l’espressione di origine marin. o. alla penna!, che è propriam. un richiamo al timoniere di una imbarcazione a vela, perché faccia attenzione al «punto di penna» della randa, che è la prima a fileggiare quando la vela non porta bene. c. Modo di giudicare, giudizio: guardare con o. critico, con o. spassionato; ai suoi o. è perfetto; se potesse vedersi con gli o. miei!; gli o. del mondo, il giudizio che gli uomini formulano in base alle apparenze. d. La capacità di vedere con l’intelletto, cioè d’intendere e penetrare il vero, in opposizione alla percezione visiva degli oggetti materiali: gli o. della mente, dell’animo (talora espressamente contrapposti agli o. sensibili o corporali); hanno chiusi li o. de la ragione (Dante); Se l’acume – io rispondo – è già distrutto Della veduta corporal, più vivo Dentro mi brilla l’o. intellettivo Che terra e cielo abbraccia, e suo fa il tutto (V. Monti). In altre espressioni (come vedere o giudicare con gli o. dell’immaginazione, del cuore, della passione, della fede, della paura, ecc.) si indicano invece le diverse forze che possono influenzare o alterare il nostro giudizio. 6. Locuz. varie, in senso proprio e fig.: a. Avere l’o. a qualcuno, a qualcosa, badarvi: non si può aver sempre l’o. a tutto; avere un o. di riguardo, fare particolare attenzione, proteggere. Tenere d’o., non perdere d’occhio, sorvegliare continuamente. Dare nell’o. (e più efficacemente colpire l’o.), colpire l’attenzione: colori che dànno nell’o.; la cosa mi diede subito nell’o., la notai immediatamente; un uomo, una donna che non dà nell’o., insignificante, che non ha nulla che possa attirare l’interesse; per non dare nell’o., per passare inosservato. Dar d’occhio, non com., fare cenno, richiamare l’attenzione: poté dar d’o., per accennare ch’era contento di loro (Manzoni). Non credere ai proprî o., di fronte a cosa inaspettata o incredibile o che susciti grande stupore, credere quasi che la vista inganni. Non vede che per gli o. di lui, di lei, letter., riferito a chi, per grande ed eccessivo affetto, si priva della propria personalità e indipendenza di giudizio, affidandosi ciecamente a ciò che l’altro vede, sente e giudica. Per i suoi begli o., locuz. ironica con cui si intende deridere chi, vantando o attribuendosi speciali meriti, pretende di dover essere favorito o servito. Avere gli o. foderati di prosciutto, fam., non vedere le cose più evidenti (la frase è talvolta riferita agli orecchi); con lo stesso sign., in usi region., avere le fette di salame sugli occhi. Perdere il lume degli o., essere sconvolto dall’ira al punto di non vederci quasi più. Gettare (meno com. dare) la polvere, o il fumo, negli o., ingannare, illudere con false apparenze: la pace, le leggi, le riforme Son bagattelle per chetar gli sciocchi, E per dar della polvere negli o. (Giusti). Fino agli o., in senso proprio, fino all’altezza degli occhi (per lo più con qualche esagerazione): si sprofondava nel fango fino agli o.; più spesso in frasi fig. enfatiche, per indicare l’estremo grado, il massimo livello: essere immersi nei debiti, nel vizio, nel sudiciume (morale) fino agli o.; vengo da Milano, e, sentirete, sono proprio stato nel contagio fino agli o. (Manzoni); iperb. fam., avere la pancia fino agli o., di donna inoltrata nella gravidanza; averne fino agli o., fin sopra gli o., essere stufo di qualche cosa. Essere come il fumo negli o., riuscire molesto o antipatico; essere un pugno in un o., di persona che non si può soffrire, o, con altro senso, di colori violenti e male assortiti, o di opera che, per essere disarmonica, sproporzionata, offende la vista e il senso della bellezza. A quattr’o., fra due sole persone, senza testimoni: andiamo in salotto, devo parlarti a quattr’occhi. Colpo d’o., veduta d’insieme, fig., rapida intuizione: capire, giudicare a colpo d’o., in una sola e rapida occhiata. In un batter d’occhi, in tempo brevissimo, in un attimo. A vista d’occhio, di mutamenti che avvengono in misura notevole e con tale rapidità da esser quasi visibili nei loro successivi stadî: questo ragazzo cresce a vista d’o.; il malato dimagrisce, peggiora a vista d’occhio. Beati gli o. che ti vedono, modo fam. con cui ci si rivolge a persona che da lungo tempo non si faceva vedere. Con enfasi, fam., lasciarci gli o., averci lasciato gli o., essersi invaghito di cosa che, a vederla, è piaciuta molto, e che si desidererebbe avere o potere acquistare: era una splendida collana, e lei ci aveva lasciato gli occhi. b. Con allusione al fatto che la vista è uno dei doni più preziosi e indispensabili per l’uomo, le locuz. enfatiche: amare qualcuno più che la pupilla degli o.; cosa, persona cara come la luce degli o.; scommettere un o. della testa, per esprimere grande sicurezza di ciò che si afferma; costa un o., ho pagato un o., ho speso un o., cioè moltissimo; e altre simili. c. Proverbî: quattro o. vedono meglio che due, si vede o si giudica meglio quando si è in più d’uno; l’o. del padrone ingrassa il cavallo, per il buon funzionamento di una azienda è necessaria la presenza di chi vi è più direttamente interessato; avere un o. alla gatta e uno alla padella, prendere le proprie precauzioni da due parti diverse: o. non vede, cuore non duole (tosc. cuore non crede), il male o i torti che si fanno a una persona non le procurano dispiacere se essa non ne è a conoscenza. Frasi proverbiali di origine biblica: in terra di ciechi chi ha un o. è signore, oppure ... beato chi ha un o. (v. beati monoculi ecc.); occhio per occhio, dente per dente (oculum pro oculo dentem pro dente), espressione, presente in tre passi, Esodo 21, 24, Levitico 24, 20 e Deuteronomio 19, 21, con cui si afferma la necessità della vendetta, ossia la legge del taglione, alla quale nel Nuovo Testamento (Matteo 5, 38 segg.) si oppongono le parole di Gesù: «è stato detto: Occhio per occhio, e dente per dente. Io invece dico a voi di non far resistenza al malvagio: ma se uno ti avrà percosso sulla guancia destra, porgigli anche la sinistra». 7. Usi analogici: a. Occhi di vetro, per bambole. O. artificiali, quelli di vetro o di speciale sostanza plastica che sostituiscono, a soli fini estetici, l’occhio mancante. In fisica, o. artificiale, dispositivo di misurazione fotometrico, in genere realizzato con un fotosensore la cui sensibilità spettrale approssima con esattezza la curva spettrale di visibilità dell’occhio umano; in partic., o. fotometrico normale, fotosensore provvisto di adatti filtri ottici in modo da avere una curva spettrale di visibilità relativa coincidente con quella, fissata per convenzione internazionale, che mediamente rappresenta le caratteristiche di un occhio umano normale. b. Gli o. della maschera, della visiera, i fori che corrispondono agli occhi. c. poet. Occhi del cielo, gli astri: in chiuso loco Vorria celarla ai tanti o. del cielo (T. Tasso); analogam., li due o. del cielo (Dante), Apollo e Diana, cioè il Sole e la Luna. d. Occhio di sole, fascio di raggi luminosi che, penetrando in un ambiente attraverso un piccolo foro, forma sull’oggetto che lo intercetta come un disco luminoso. e. Occhi di ladro, di pernice, di pulce, nomi di alcuni tipi di minestra da brodo. f. Occhio di mosca, altro nome del carattere tipografico diamante, con allusione alla sua piccolezza. g. Foro o apertura ricavata a varî scopi in diversi oggetti; per es., il foro nel manico della padella; quello dove è introdotto il manico di varî utensili (l’o. del martello, dell’accetta, del piccone); in alpinismo, il foro, praticato nella testa dei chiodi, in cui si impegna il moschettone; in equitazione, l’apertura in cui viene fatto passare lo staffile, cioè la cinghia a cui la staffa è sospesa e che la collega alla sella; nel morso del cavallo, l’anello a cui s’affibbia la briglia. h. Nell’industria casearia, denominazione dei buchi caratteristici del formaggio emmental, dovuti a bolle di gas che si formano per fermentazione. Analogam., nell’uso fam., occhi del brodo, le bolle di grasso che galleggiano sulla sua superficie. i. In petrografia, nome dato alle formazioni lenticolari, relitti della roccia madre o di suoi minerali, osservabili nelle miloniti. l. Nei libri, sinon. poco com. di occhiello o occhietto. m. O. sorgivo, ognuna delle polle d’acqua affioranti in una sorgente a fontanile. n. Occhio di un ciclone, la zona centrale, dove la pressione atmosferica raggiunge il minimo valore e il gradiente di pressione si annulla, per cui si ha una relativa calma di vento, mentre nelle zone immediatamente circostanti i venti e le precipitazioni raggiungono la massima intensità (da qui l’uso fig. trovarsi nell’occhio del ciclone: v. ciclone). o. Occhio magico, nella radiotecnica a tubi elettronici, dispositivo che forniva un’indicazione visiva dell’esatta sintonia dei ricevitori radio, usato anche come indicatore in sistemi di misurazione, consistente in un piccolissimo tubo a raggi catodici nel quale un’aletta metallica, usata come elettrodo di controllo, provoca l’apertura e la chiusura di una configurazione fluorescente (che ricorda nel suo movimento l’occhio di un gatto), così che, quando il ricevitore è correttamente sintonizzato, il settore d’ombra centrale è minimo; oggi è sostituito da altri dispositivi indicatori, per lo più elettronici a stato solido. 8. In zoologia, falso o., macchia colorata (che per dimensioni, forma e disegno ricorda l’occhio dei vertebrati), solitamente presente in coppia su parti del corpo in diverse specie animali (sulle ali delle farfalle, sul peduncolo caudale dei pesci, ecc.), la cui esibizione sorprende momentaneamente un eventuale predatore, consentendo così la fuga. 9. In botanica e agraria: a. Sinon. di gemma (delle piante): gli o. della patata; o. dormienti; innesto a occhio (v. innesto, n. 1 a). Occhio di canna, pezzo del rizoma della canna comune provvisto di almeno un occhio (sinon. di barbocchio). b. In certi frutti con ovario infero (pera, mela), la nicchia che si trova all’apice del frutto e che corrisponde all’apertura della coppa ricettacolare, la quale è concresciuta con i carpelli. c. Fagioli dall’o. (o con l’o.), specie di piccoli fagioli pregiati, così detti per l’anellino scuro che i semi presentano intorno all’ilo. d. Occhio di marezzo: marezzatura dei legnami di forma simile a quella di un occhio. 10. In architettura: a. Apertura circolare o ovale praticata nelle pareti o nella copertura di un edificio, spec. nell’architettura classica (dove, con denominazione greca, è detta anche opàion). b. Cavità cilindrica (detta anche occhialone) in corrispondenza dei timpani dei ponti in muratura per alleggerirli e per diminuire la resistenza opposta all’acqua nel caso di piena. c. Elemento di forma circolare da cui ha origine la voluta, in partic. quella del capitello ionico. 11. In marina: a. Occhio di bigotta, ciascuno dei fori in cui passa il canapo (rida o corridore). Occhio di un cavo, cappio in forma più o meno anulare, detto anche gassa. b. Occhio di cubia (o o. di prora, o anche, spec. in passato, o. di bue), la bocca della cubia, dove passa la catena e dove l’ancora, senza ceppo, entra quando è recuperata ed esce quando è filata; di qui la locuz. filare per occhio, smanigliare la catena lasciandola scorrere completamente in mare, abbandonando, così, sul fondo ancora e catena; si fa quando non c’è il tempo di salpare o quando l’ancora è incattivata sul fondo. c. Occhio del gallone (comunem. detto giro di bitta), caratteristico cerchio che fa il nastro dorato sul primo gallone dei gradi degli ufficiali. d. Occhio (o sbocco) del pozzo della catena, apertura sul ponte di prora che permette il passaggio della catena dell’ancora da e verso il proprio deposito sottostante. e. Occhio di Plimsoll, marca fondamentale di riferimento del bordo libero (v. marca1, n. 1 c), così chiamato dal nome del parlamentare ingl. Samuel Plimsoll ‹plìmsël› che nel sec. 19° sostenne le disposizioni legali sulla massima immersione delle navi mercantili al fine di garantire una maggior sicurezza della navigazione. f. Occhio di tonneggio, apertura praticata sulle murate per consentire il passaggio dei cavi impiegati per le operazioni di tonneggio e di ormeggio. 12. In tipografia, la parte di un carattere che prende l’inchiostro e produce l’impressione: si trova a un’estremità del prisma che costituisce il carattere e riproduce, in rilievo, l’immagine speculare di una lettera, di un numero, di un segno d’interpunzione, ecc.: carattere di o. grande, piccolo, di o. chiaro, nero (o grasso), ecc., a seconda delle dimensioni delle lettere e della grossezza delle aste. 13. Occhio di bue: espressione usata con varî sign. (talora in alternanza con occhio di bove). In partic.: a. In senso proprio (e per lo più nella forma occhi di bove), occhi grossi e sporgenti; presso i Greci, fu appellativo di Era, βοῶπις (v. boopide), e di altre dee. b. Uovo all’o. di bue, cotto nel tegamino, versandolo nel burro o nell’olio bollente in modo che il tuorlo rimanga intero e sia circondato dal bianco. c. Nella costruzione navale, particolare tipo di oblò che, chiuso ermeticamente e permanentemente da uno spesso cristallo a forma lenticolare, può essere situato soprattutto sul ponte di coperta allo scopo di dar luce ai locali sottostanti; anche, spec. in passato, altra denominazione dell’occhio di cubia. d. Nome (fr. oeil-de-boeuf) con cui fu chiamata l’anticamera della stanza da letto di Luigi XIV nel castello di Versailles, che prendeva luce da una finestrella ovale (di qui il nome), e in cui si riunivano abitualmente i cortigiani nell’attesa che il sovrano si alzasse: Il re dal suo lascivo Occhio di bue Guardava il mondo, piccolo al suo piè (Carducci). e. Grossa lente, che funge da condensatore ottico, applicata alla lanterna a mano e ad altri dispositivi di illuminazione. f. Strumento, usato dagli artisti, spec. nordici, fin dal 15° sec., consistente in un cilindro senza lenti che consentiva di osservare attentamente un oggetto eliminando i raggi di rifrazione. g. Proiettore a fascio di luce concentrato, usato nel cinema e nel teatro per illuminare la zona ristretta della scena in cui agisce l’artista sul quale si vuole concentrare l’attenzione degli spettatori. h. Per l’uso della locuz. in zoologia e in botanica, v. occhio di bue (e cfr. anche occhio di bove). 14. Occhio di gambero, in anatomia comparata, lo stesso che gastrolito. 15. Occhi di pavone: a. Denominazione comune delle caratteristiche macchie azzurre su sfondo castano che abbelliscono le penne della coda del pavone. In marmologia, occhio di pavone, lo stesso che occhio di pernice (v. pernice, n. 3 b). b. Malattia dell’olivo (detta anche vaiolo dell’olivo), dovuta al fungo deuteromicete Cycloconium oleaginum, caratterizzata dalla comparsa, soprattutto sulle foglie, di macchie rotondeggianti che a sviluppo completo hanno un colore grigio o grigio rossastro al centro e bruno scuro all’esterno; nei mesi caldi la presenza di un alone giallo intenso le fa somigliare alla macchia di una piuma di pavone, da cui il nome della malattia. 16. O. di pernice, o. pollino: nomi popolari dati, per similitudine, a un particolare tipo di calli dei piedi. Per altri usi della locuz. o. di pernice, v. pernice, n. 3. 17. In fotografia, obiettivo a o. di pesce (ingl. fish-eye), obiettivo grandangolare con angolo del campo molto grande (fino a 180°), così chiamato per la somiglianza con l’occhio, a forma di calotta sferica convessa, di molte specie di pesci. 18. Seguito da varie determinazioni, costituisce la denominazione di piante, animali, minerali, per cui v. le singole voci. Dim. occhièllo (v.), con sign. partic.; dim. e vezz. occhiétto (v.), occhiettino, occhino, occhiolino (v.), non com. occhiùccio, occhiuzzo; accr. occhióne (v.); pegg. occhiàccio (fare gli occhiacci, rivolgere sguardi minacciosi).