obolo
òbolo s. m. [dal lat. obŏlus, gr. ὀβολός, variante di ὀβελός «spiedo», che designava, anteriormente all’introduzione della moneta coniata (7° sec. a. C.), l’oggetto, di bronzo o ferro, usato, insieme con altri oggetti metallici, come per es. tripodi o lebeti, con funzione monetale]. – 1. a. Nella Grecia antica, unità ponderale equivalente alla 6a parte della dracma; anche come moneta, coniata per lo più in argento, talvolta in oro, e in età più tarda in bronzo, corrispondeva comunem. a 1/6 di dracma. b. In età romana, la moneta spicciola in genere. c. Nel medioevo, denominazione del mezzo denaro, del mezzo grosso, e anche di alcune monete di principati franchi in Oriente. d. O. di Caronte, la moneta che, secondo la credenza popolare degli antichi Greci, ogni morto doveva pagare a Caronte perché lo traghettasse di là dall’Acheronte, e che perciò veniva messa dai parenti nella bocca del defunto. 2. estens. Offerta in denaro di scarsa entità: l’o. della carità, l’o. per l’infanzia abbandonata; dare, mandare, portare l’o., il proprio obolo. In partic., o. di san Pietro (lat. denarius o census Petri), contributo dei fedeli al papa perché questi possa provvedere alle necessità della Chiesa. ◆ Dim. obolino, obolo di piccole dimensioni coniato nel medioevo.