noia. Finestra di approfondimento
Noia come fastidio - Il sost. n. oscilla tra due sign. diversi: quello di «forte fastidio, dolore» e quello di «insoddisfazione causata da monotonia e sim.». Oggi prevale il secondo sign., mentre nell’ital. ant. e lett. è più frequente il primo (che deriva dall’etimo lat. inodiare «avere in odio»), peraltro tuttora vitale in alcune espressioni cristallizzate quali avere a n.,avere noie,dare noia. Sinon. del primo sign., per lo più nell’espressione dare n., possono essere disturbo o fastidio: ti do fastidio se mi siedo qui? Oppure, meno com., disagio o, assai com. soprattutto nel passato, incomodo: mia sorella [...] mi vuol bene e non si lagna del disagio che io le arreco occupando quel piccol camerino ov’è rincantucciato il mio lettuccio (G. Verga); scusi tanto l’incomodo e mille grazie della sua garbatezza (C. Collodi). Dare n. è sostituibile dai verbi disturbare o infastidire: che cosa avete che vi disturba? (C. Goldoni); feci un passo per scostarmi dalla candela che mi infastidiva (G. Verga). Di solito riferiti a sogg. animati sono il formale molestare, il più com. seccare e il pop. rompere: i fanciulli non la molestavano più (I. Nievo); non riuscii a calmar Augusta la cui gelosia mi seccava orribilmente (I. Svevo); non (mi) rompere, con le tue prediche! Molestare si riferisce talora anche a pensiero, pena e sim.: hai tu pure de’ pensieri che ti molestano? (C. Goldoni). Incomodare e scomodare, così come dare incomodo, si usano quasi soltanto in formule di cortesia, per giustificarsi di un favore che si chiede o per ringraziare dell’ospitalità che si riceve: non avremo più occasione d’incomodare gli amici (C. Goldoni); mi dispiace di averti scomodato. Analogo è anche il com. disturbare: aveva la sua camera, ch’era la migliore dell’appartamento, dove nessuno lo avrebbe disturbato (L. Pirandello). Spec. al plur., solitamente nell’espressione avere noie,n. rimanda a fastidi per lo più legali o economici ed è sostituito soprattutto dai sinon. fam. grana, grattacapo, rogna, scocciatura, seccatura: ho avuto delle grane con la polizia; ah, non voglio più grattacapi, niente più lavoro! (L. Pirandello); n’aveva fino alla gola, delle innumerevoli seccature che gli erano diluviate da quelle zolfare d’Aragona (L. Pirandello).
Noia come insofferenza e monotonia - Nel sign. di «insofferenza nata dal fare qualcosa di monotono, non gratificante ecc.», n., che è termine assai com., non ha sinon. se non lett., quali tedio e uggia: la lima è un tedio, onde facilmente si pensa ad altro, adoprandola (V. Alfieri); chi v’ha detto ch’io rifugga dal dolore? Anzi! Una sol cosa io tollero mal volentieri, ed è la noja, l’uggia, il tedio, il fastidio... poco importa il nome (V. Imbriani). Entrambi i termini, peraltro, anticamente avevano per lo più il sign. di «fastidio circoscritto, dolore e sim.». In questo senso, tuttora di una certa vitalità è la locuz., comunque formale, in uggia (in espressioni come avere in uggia «non sopportare », venire in uggia «diventare insopportabile», prendere in uggia «cominciare a disprezzare», ecc.): aveva invece in uggia particolare la pittura di paesaggio che stimava indizio di decadenza civile (A. Fogazzaro); il Vicerè venne però in uggia a tutto il mondo (F. De Roberto). Di una certa fortuna, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha goduto il termine ingl. spleen, d’ambito lett., col quale si intendeva quel senso di acuta ma generica insoddisfazione della vita, proprio di molti scrittori romantici e decadenti. Spesso tedio, ancor più di n., può alludere a una percezione della vanità della vita (un po’ come spleen, ma meno puntuale e più com.): udire il vento che faceva nei castagni del bosco come un fragor di mare, e nella voce di quel vento e in quel fragore sentire, come da un’infinita lontananza, la vanità d’ogni cosa e il tedio angoscioso della vita (L. Pirandello). Oppure tedio e n. possono alludere a un certo senso di sofferenza del quale non si conosca la causa: che altro significano queste parole – tedio, noia, inquietudine, malinconia, – se non un modo di esistere doloroso, senza che ci accorgiamo di qual natura sia o in qual parte di noi la sede del dolore? (P. Verri). Nella funzione predicativa, in riferimento a ciò che annoia (ho letto un libro che è una vera n.), si annoverano invece molti sinon. fam. o pop. di n.: barba, lagna, palla, il roman. pizza, rottura (di scatole): che barba questa musica!; quel tuo amico è proprio una lagna. Molto meno com. e più attenuati sono i termini monotonia,pesantezza e sim. A differenza dei primi, tuttavia, questi ultimi possono essere usati anche in posizione non predicativa: la monotonia del suo discorso fece scappare molti spettatori non può essere sostituito da la rottura del suo discorso ... Barba,lagna,pizza e rottura, così come n., sono spesso usati come esclam. fam. con uso assol.: uff, che barba!
Annoiare e annoiarsi - Annoiare è legato quasi sempre al sign. di «insofferenza» e solo raram. a quello di «fastidio». Come verbo trans., può anche indicare un senso di fastidio, ma meno forte e circoscritto rispetto a infastidire: le sue continue telefonate notturne mi annoiavano. Sinon. appropriati sono stancare e venire a n.: la tua presunzione mi ha stancato. Seccare e i fam. scocciare e stufare indicano talora un grado più intenso di fastidio: m’hai proprio scocciato con tutte queste obiezioni! Assai com. è l’intr. pron. annoiarsi, contr. di divertirsi,essere soddisfatto e sim. I principali sinon. sono stancarsi e tediarsi (che è più formale, e talora intens.): mi sono stancato di guardare la televisione. Anche seccarsi è intens., indicando un grado di fastidio maggiore: si è seccata della lunga attesa e se n’è andata. Fam. sono rompersi e scocciarsi: mi sono rotto di lavorare!