monade
mònade s. f. [dal lat. tardo monas -ădis, gr. μονάς -άδος «unità», der. di μόνος «solo»]. – 1. In filosofia, termine usato per indicare l’unità in quanto principio di molteplicità o le unità costitutive del reale; in questo senso il termine torna nel platonismo sempre legato al problema della fondazione o produzione del molteplice. Esso assume una densità nuova in Giordano Bruno, sempre legata alla tradizione pitagorica, ma soprattutto prende significato tecnico essenziale nella filosofia di G. W. Leibniz che l’utilizza dal 1696: «la m. non è altro che sostanza semplice che entra nei composti; semplice cioè senza parti»; la monade di Leibniz non è l’atomo fisico ma metafisico, essere completo e indistruttibile, centro di attività e di forza (appetizione e appercezione) che contiene nella sua nozione o natura tutti i proprî predicati, quindi tutta la propria storia; ogni monade è indipendente rispetto alle altre e in ciascuna si rispecchia tutto l’universo che essa esprime secondo la propria posizione. 2. Per estens., in fisica, ciascuno degli elementi materiali tra loro simili, i quali, associati in grandissimo numero, costituiscono i sistemi che sono oggetto di studio della meccanica statistica. 3. In zoologia, genere di flagellati (lat. scient. Monas) dell’ordine crisomonadini, di forma sferica o ovalare, privi di clorofilla, che possono vivere isolati o in piccole colonie.