moglie
móglie s. f. [lat. mŭlier (-iĕris), voce di etimo sconosciuto che indicava genericam. la donna (diversa da uxor che indicava invece la donna sposata)]. – Coniuge di sesso femminile, donna congiunta in matrimonio; la parola non si usa per indicare lo stato civile (nel qual caso si dice maritata o coniugata), ma quando c’è un riferimento diretto o indiretto al marito: mia m., tua m. (tosc. con l’art. la mia m.; ant. o merid. col pronome enclitico mógliema, móglieta, e ant. mógliama, mógliata). Non si usa come vocativo se non preceduto da un agg. o seguito da un possessivo: cara m.!; m. mia; mia cara moglie; con uso assol. ha tono scherz. o iron.: ascolta, m.!; m., non penserai di lasciare sempre a me il compito delle pulizie di casa! Locuz. varie: essere marito e m., essere sposati; essere separato, diviso dalla m., di chi ha ottenuto la separazione legale, o in genere di chi non convive più con la propria moglie; prendere, pigliare m., letter. menare, togliere m., sposarsi; riprendere m., di vedovo o divorziato che si risposa; avere m., essere sposato; avere m. e figli, frase con cui si vuole insistere sulle responsabilità che derivano dall’essere padre di famiglia (ho m. e figli, e certi rischi non li posso correre; lascialo stare, ha m. e figli!); dare m., spec. in passato, far sposare (in frasi come i genitori vorrebbero dargli m., e sim.). In funzione di compl. predicativo dell’oggetto: chiedere in m. o per m. una ragazza; ha preso in m. una straniera; ha per m. una donna molto intelligente. Proverbî e frasi proverbiali: mogli e buoi dei paesi tuoi, frase con cui si consiglia di mantenersi saggiamente legati al proprio ambiente culturale e alle proprie tradizioni; non ride sempre la m. del ladro, non tutte le bricconate hanno buon esito o passano lisce; in compagnia prese m. un frate, acconsentendo (o invitando altri) a fare, in compagnia, ciò che fanno gli altri, anche se sia cosa che non si vorrebbe o dovrebbe fare; volere la botte piena e la m. ubriaca (v. botte). Essere la m. di Cesare (o come la m. di Cesare), frase che si suole ripetere, talora ironicam., a proposito di persone, talvolta di istituzioni, che si ritengono insospettabili o alle quali può nuocere il solo sospetto; deriva da una frase detta, secondo Plutarco (Vita di Cesare, 10), da Cesare nel processo contro Publio Clodio insidiatore di sua moglie Pompea, quando affermò di non sapere niente di quanto si diceva contro Clodio, ma che, ciò nonostante, aveva ripudiato la moglie non volendo che fosse neppure semplicemente sospettata. ◆ Dim. e vezz. mogliétta, e più com. mogliettina (in uso anche come vocativo); pegg., non com., mogliàccia.