mietere
miètere v. tr. [lat. mĕtĕre] (io mièto, ecc.; il dittongo -ie- si conserva anche fuor d’accento: mietiamo, mieteva, mietuto, ecc.). – 1. Segare i cereali maturi, a mano con la falce, oppure con la mietitrice meccanica: m. il grano, l’orzo; m. a terra, tagliando lo stelo a fior di terra con la falciola; m. a collo, cioè a metà altezza, lasciando la stoppia sul campo. Usato assol., eseguire la mietitura (e insieme anche la raccolta) del grano: è tempo di m.; non abbiamo ancora mietuto. Raramente riferito a piante o erbe diverse dai cereali (in questo caso è più com. falciare): mieta Lappole e stecchi co la falce adunca (Petrarca). 2. Il verbo è usato molto spesso in senso fig., sia con riferimento all’atto del tagliare le piante, e quindi uccidere, far morire: la morte miete gli umili e i grandi (con l’allegorica falce che è il suo attributo); l’epidemia ha mietuto innumerevoli vittime; quanti Colla spada ne miete il valoroso (V. Monti); sia con riferimento alla raccolta dei cereali, che compensa il contadino per le sue fatiche, quindi raccogliere, ricavar frutto: m. ricchezze, gloria, onori, soddisfazioni; Di mia semente cotal paglia mieto (Dante), del mio peccato d’invidia colgo questo frutto, cioè la pena del purgatorio. Il verso dantesco è reminiscenza biblica (cfr. s. Paolo, Lett. ai Galati 6, 8 «quae enim seminaverit homo, haec et metet»; e Prov. 22: «qui seminat iniquitatem, metet mala»); ugualmente di ispirazione biblica sono alcuni proverbî e modi proverbiali comuni: c’è chi semina e chi miete, chi fatica e chi raccoglie il frutto (cfr. Giovanni 4, 37: «alius est qui seminat, et alius est qui metit»); m. l’altrui campo, approfittare del lavoro altrui (cfr. Matteo 25, 24 e Luca 19, 21: «metis ubi non seminasti»); chi semina in lacrime mieterà in gioia (traduz. da Psalmi 125, 5: «qui seminant in lacrymis, in exultatione metent»); chi non semina non miete, nulla si ottiene senza fatiche.