mi1
mi1 pron. pers. [lat. me, accus., mi (= mihi), dativo]. – 1. Forma atona che concorre alla declinazione del pron. pers. io, sia come compl. oggetto (non mi ha visto = non ha visto me), sia come compl. di termine (mi disse = disse a me); è inoltre indispensabile nella coniugazione dei verbi rifl. e intr. pron. per la prima persona sing. (mi vesto, mi pentii, mi sono scordato, ecc.). Per ciò che riguarda la collocazione sintattica, la particella mi può essere proclitica al verbo (come negli esempî ora citati), o posposta come enclitica a ecco (eccomi) e ai verbi di modo infinito (che viene troncato: parlarmi), participio (vistomi), gerundio (sentendomi), imperativo (raccontami); è ritenuta più corretta, invece, la posizione proclitica nell’imperativo negativo (non mi disturbare). Nella lingua ant., poet. o letter., si trova anteposto qualche volta all’imperativo anche nella forma positiva (per es., in Dante: «Maestro mio», diss’io, «or mi dì anche»), mentre non è rara la posizione enclitica con le forme finite del verbo (dissemi, veggomi, ecc.); in questo secondo caso, se la sillaba finale del verbo è -no o -ne, subisce il troncamento della vocale, con assimilazione di -nm- in -mm- nella pronuncia (non sempre nella scrittura): Piovonmi amare lagrime dal viso (Petrarca); Quando sovviemmi di cotanta speme (Leopardi). Unendosi a forme verbali tronche o monosillabe, subisce il rafforzamento sintattico: dimmi, stammi a sentire, ridammi il libro; ant. emmi (= mi è). 2. Usi particolari: a. Per esprimere partecipazione, cioè come dativo etico (v. etico1): che mi vai dicendo?; stammi bene. b. Con valore prevalentemente rafforzativo: I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto (Dante); Né so quant’io mi viva in questo stato (Petrarca); io mi credo che le suore sieno tutte a dormire (Boccaccio); non so se io mi dica bene o male (Leopardi); così pure: io mi pensavo che ...; non so proprio che mi fare, e simili.