lusinga
luṡinga s. f. [dal provenz. lauzenga, che è dal franco lausinga, propr. «bugia»]. – Qualsiasi allettamento, fatto di frasi adulatorie, di parole amiche, di promesse, di atti esteriormente benevoli, di finte attenzioni, ecc., con cui si cerca di attrarre qualcuno al nostro volere, di cattivarsene la fiducia col fine di indurlo a fare cosa che sia di nostro vantaggio. Per lo più usato al plur.: attirare, conquistare con lusinghe; lusinghe d’amore; cedere alle l.; non valsero a convincerlo né l. né minacce; essere inaccessibile alle l.; con lui ogni l. fu inutile. Spesso, soprattutto nell’uso letter., con sign. più generico, carezza, allettamento, blande parole di persuasione e di invito (anche al bene): né per fatica di maestro ne per lusinga o battitura del padre ... gli s’era potuto metter nel capo né lettera né costume alcuno (Boccaccio); oppure, preghiera mista a lode: Ma se donna del ciel ti move e regge, Come tu di’, non c’è mestier lusinghe (Dante); Vergine, quante lagrime ho già sparte, Quante l. e quanti preghi indarno (Petrarca). Fig., promessa o speranza per l’avvenire: quando vaghe di lusinghe innanzi A me non danzeran l’ore future (Foscolo); non com., illusione, speranza senza fondamento concepita dalla persona stessa, cui il desiderio di raggiungere uno scopo impedisce di scorgere le scarse probabilità di riuscita: pensava di riacquistare un giorno la libertà, ma era solo una lusinga.